Cervello in Tilt

Figlicidi

13 Febbraio 2018

Figlicidi

I figlicidi compiuti da genitori presunti sani

di Stefano Michelini

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Ho dedicato la quasi totalità della mia attività scientifica e letteraria all’Amore Filiale, sia in termini di ricerca pura, sia in termini di Ansia di Separazione, sia in termini di genitore praticante.

Parlare quindi di figlicidi mi è drammaticamente familiare. Data la delicatezza e complessità del tema, lo tratterò in modo diverso ogni settimana fino a darne una visione il più possibile completa.

Nel contributo odierno vorrei riproporre alcune statistiche, che contestualizzano il problema e le basi biologiche cerebrali del fenomeno dell’attaccamento e dell’affiliazione, già accennate nel contributo nelle sezioni della Paura e della Gelosia.

 

I NUMERI

Il decesso per mano di un genitore riguarda circa 5 bambini ogni 100 mila nati. 

In Italia, i dati Eures ad oggi disponibili, arrivano al 2014, anno in cui i figlicidi sono stati 39, uno ogni dieci giorni, il 77% in più rispetto al 2013 ed in grande crescita anche rispetto agli ultimi 15anni (25 all’anno di media). 

Ad aumentare sono soprattutto gli omicidi di figli sotto i 14 anni, passati da 9 nel 2013 a 24 nel 2014 (+166,7%). 

Considerando l’intero periodo 2000-2014 sono stati 379 i figli uccisi da un genitore. Nel 61,5% dei casi l’omicidio è stato commesso dai padri a fronte del 38,5% delle madri. 

Negli Stati Uniti la percentuale di figlicidi era 4.3 per 100,000 bambini nel 1970; nel 2000 la percentuale è salita al 9,2 e poi discesa al 7,2%, nel 2013.

Sono dati drammatici e molto difficili da prevenire con programmi medico-scientifici ad hoc.

 

L’ANALISI

Come si giunga a un atto simile, prevede una vasta gamma di situazioni combinate variamente tra loro: malattie psichiatriche non riconosciute dei genitori, sottocultura, frustrazione economica, ridotto livello di attaccamento alla prole geneticamente ereditato.  

Mi soffermo brevemente a spiegare questo concetto “geneticamente ereditato” per cercare di rendere più chiaro quanto dirò dopo. E per spiegarlo devo accennare allo scienziato dell’affiliazione Thomas Insel, mio maestro proprio su questo tema: lui mi ha ispirato alla scoperta del gene dell’Ossitocina sul cromosoma numero 3 umano. Insel è stato per nove anni direttore del National Institute of Mental Health, per poi lasciare il governo americano e unirsi al movimento di pensiero Life Science Division di Google X, ora noto come Verily Life Sciences.

Per primo ha dimostrato che l’unica differenza nel cervello tra due diverse razze di arvicole (una specie di talpa) era nella concentrazione e localizzazione dell’ossitocina. Questa differenza corrispondeva a un comportamento opposto verso la prole: distacco immediato in una specie, distacco progressivo nell’altra specie con accettazione dello stile da parte dei cuccioli. La componente ereditaria fu dimostrata da Insel stesso nelle arvicole. 

Nei miei studi e nelle mie pubblicazioni il neuro-trasmettitore chiave dell’affiliazione divenne quindi l’Ossitocina, la stessa molecola somministrata endovena alle pazienti che devono accelerare il loro parto; la stessa molecola che induce l’allattamento e sembra essere decisiva per i primi approcci sessuali.

L’Ossitocina cerebrale determina un maggiore o minore attaccamento alla prole come dimostrato da Insel. La carenza di questo ormone, potrebbe – e sottolineo il condizionale - anche negli esseri umani rendere più vulnerabile uno o entrambi i genitori a un distacco emotivo immediato, rispetto alla prole. E laddove vi fosse questa struttura genetica di distacco emotivo se esposti a stress di diverso tipo, arrivare a compiere un figlicidio nel corso di un raptus.

Occorre però essere chiari: mutazioni a carico del gene produttore dell’Ossitocina non sono ancora state riscontrate nel cervello dell’omicida per cui, sebbene la suggestione di questa ipotesi sia molto forte, resta ancora da verificarla.

Facciamo ancora un altro passo insieme e proviamo a comprendere meglio come funziona nel nostro cervello l’Ossitocina. 

La componente cognitiva di un’azione soggiace a disfunzioni neuro-chimiche di varia entità. Il senso del possesso di un amore, o di un oggetto intimo, nasce sostanzialmente da un’ingovernabile ansia di separazione da quella persona o da quell’oggetto. Il Sistema Nervoso Centrale è provvisto di circuiti elettrochimici che ci rendono consapevoli di eventuali pericoli. Se questo sistema è tarato male, ci sentiamo perennemente in una condizione di minaccia imminente. Ci comportiamo proprio come quegli allarmi delle auto o di casa, che scattano senza motivo in ogni circostanza. Se il nostro circuito d’allarme è iperattivo saremo sempre allerta, pronti a evitare condizioni anche a minimo rischio, terrorizzati da ogni tipo di separazione sia immaginaria, che reale. Questa disfunzione chimica è riconoscibile anche in età infantile. 

Se prendiamo un gruppo di bambini che vanno per la prima alla volta all’asilo e ne studiamo il comportamento, noteremmo due grandi gruppi: uno che si stacca con relativa tranquillità dai genitori, incuriosito da una nuova esperienza, e un gruppo che incontra diverse difficoltà, con conseguenti pianti, strilli, bizze, o restando attaccato alla gonna della mamma. Questi sono bambini il cui cervello già percepisce che l’oggetto d’amore - la madre - è suo, propriamente suo. Entrare in classe potrebbe equivalere a perderlo  per sempre e da qui la prima rudimentale forma di gelosia, basata chimicamente sul concepire l’amore come una proprietà e non come un vissuto. Questo accade anche se il bambino è piccolo. Da grande, quello stesso bimbo si comporterà in ugual modo con la fidanzata, la moglie, l’amico, l’auto, con livelli diversi di sofferenza. 

 

SOLUZIONI? 

Indicativamente su un geloso sofferente a questo livello l’intervento è farmacologico e psicoterapeutico. Il farmaco, selettivo, preciso, ripristina - con un protocollo terapeutico piuttosto rigido - il circuito che ha amplificato il dolore della separazione (lo stesso che può portare a un Disturbo da Attacchi di Panico conclamato). La psicoterapia, invece, entra con una tempistica diversa nel cervello, ossia quando è già ricalibrato il circuito. A quel punto si può iniziare un percorso atto a conferire alla gelosia nuovi significati, costruendo nuovi principi su cui basare l’amare e l’essere amati. Un lavoro alla fine del quale si può uscire definitivamente dall’incubo di essere minacciati dalla deprivazione di un amore, che ci ha disturbato per molto tempo, facendoci interrompere relazioni importanti, fino ad assumere perfino comportamenti da stalker o da potenziale omicida.

E se invece, come accennavamo sopra, si presenta il caso opposto, cioè quello di una carenza di Ossitocina?  La situazione di allarme morboso non c’è ma per contro si ha un legame molto lasco con la prole e così, per esempio, stress economico, dissapori relazionali, problemi lavorativi e abuso di sostanza possono fare reagire i genitori con azioni estreme anche nel caso di un semplice pianto insistito.

La cosa più grave è che i genitori (tossicodipendenti a parte) sono spesso Presunti Sani e difficilmente monitorabili, curabili e non è possibile quindi metterli in un assetto psicologico di responsabilità e di sicurezza per il bambino.

Per il prossimo futuro non prevedo che le statistiche sui figlicidi mutino, perché gli specialisti di settore non riescono ancora a identificare genitori a rischio di commettere omicidi, a meno che non siano loro stessi a consultarli, per problematiche correlate alla carenza di Ossitocina come per esempio, per sintomi correlati quali claustrofobia, gelosia, morbosità negli affetti, sensibilità allo stress. 

C’è un’altra prevenzione, molto importante ed esterna alla famiglia: può essere fornita dagli insegnanti del nido e della Scuola di Infanzia con osservazioni su comportamenti anomali dei bambini improntati alla paura, a eventuali segni di percosse, a disegni simbolici del clima familiare.

Ancora a lungo, purtroppo, rabbrividiremo di fronte all’omicidio di chi non può difendersi da un padre o una madre apparentemente normali.