Cervello in Tilt

Relazioni Complicate

4 Settembre 2017

Relazioni Complicate

Gelosia

di Stefano Michelini

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La gelosia è uno degli stati d’animo più frequenti che l’uomo può sperimentare nella sua vita. La paura che un amore o un oggetto intimo ci possa essere sottratto oscilla dalla sensazione un leggero languore che ci pervade ad un filo spinato aggrovigliato sulla pelle nuda. In questa ampia transizione, c’è anche chi la considera un valore: più sei geloso più tieni alla persona amata; al contrario, se non sei geloso, il tuo interesse per quella persona è minimo. Se fosse sufficiente leggere un manuale, per ricalibrare il nostro esistere, sempre in bilico sulla fragilità, non ci sarebbero più problemi. In una biblioteca ad hoc con touch screen, un cliente preme il tasto “gelosia out” ed esce con la soluzione della vita per quel problema. No, non è così semplice. La componente cognitiva soggiace a disfunzioni neuro-chimiche di vara entità, a seconda del livello del morso allo stomaco che la gelosia ci dà. Il senso del possesso di un amore o di un oggetto intimo, nasce sostanzialmente da un’ingovernabile ansia di separazione da quella persona o da quell’oggetto. Il Sistema Nervoso Centrale è provvisto di circuiti elettrochimici che ci rendono consapevoli di eventuali pericoli. Se questo sistema è tarato male, ci sentiamo perennemente in una condizione di pericolo imminente, proprio come l’allarme di un auto o di una casa che scattano senza motivo in ogni circostanza. Se il nostro circuito d’allarme è iperattivo saremo sempre in allerta, evitanti di qualsiasi condizione anche a minimo rischio, terrorizzati ad ogni tipo di separazione, sia immaginaria che reale. Questa disfunzione chimica è riconoscibile anche in età infantile: se prendiamo un gruppo di bambini che vanno per la prima alla volta all’asilo e ne studiamo il comportamento, noteremmo due grandi gruppi: uno che si stacca con relativa tranquillità dai genitori, incuriosito da una nuova esperienza, e un gruppo che incontra severe difficoltà: pianti, strilli, bizze, attaccati alla gonna della mamma. Questi sono bambini, il cui cervello già percepisce che l’oggetto d’amore, la madre, è suo, propriamente suo. Entrare in classe potrebbe equivalere a perderlo e da qui la prima rudimentale forma di gelosia, basato chimicamente sul concepire l’amore come una proprietà e non come un vissuto. Anche se il bambino è piccolo. Da grande, questo bambino si comporterà nello stesso modo con una fidanzata, moglie, amico, auto, con livelli diversi di sofferenza. Quindi a questo livello l’intervento su un geloso sofferente è farmacologico e psicoterapeutico. Il farmaco, selettivo, preciso, ripristina con un protocollo terapeutico piuttosto rigido, il circuito che amplifica il dolore della separazione (che è lo stesso che può portare ad un Disturbo da Attacchi di Panico conclamato). La psicoterapia entra con una tempistica diversa nel cervello già ricalibrato in questo circuito, conferendo alla gelosia nuovi significati e costruendo nuovi principi su cui basare l’amare e l’essere amati. Se sottoposti ad un trattamento raffinato l’incubo di essere minacciati dalla deprivazione di un amore, termina dopo averci disturbato per molto tempo, dopo averci fatto interrompere relazioni importanti, fino ad assumere comportamenti da stalker o di un potenziale omicida.