Cervello in Tilt

Relazioni Complicate

7 Marzo 2018

Relazioni Complicate

L'invidia nel cervello

di Stefano Michelini

‹ INDIETRO

[ Stefano Michelini ]

 

 

L’invidia in un presunto sano, istintivamente, mi porta a pensare come essere il peggiore dei peccati capitali, non nel senso morale, ma nell’ottica dell’inquinamento del pensiero. 

 

Avere sempre il proprio pensiero in competizione con quello di un altro o di altri provoca un consumo di energie mentali impensabili. Energie metaboliche, proteiche, funzionali a livello nei neuroni, che esitano in un comportamento ostile, in una sensazione di rabbia a fior di pelle, in un abbassamento della soglia del livello di frustrazione.

 

Il disvalore aggiunto all’invidia, rispetto ad altri “virus inquinanti del cervello” come la gelosia è la continuità: continuità nella bassa autostima, anche senza un confronto specifico; continuità nel voler essere sempre oltre le capacità  altrui; la ridotta produttività per il cervello distratto dal confronto costante con la produttività altrui; la sottile linea di confine con la paranoia che fa di un presunto sano un vero malato; in ultima, ma non per importanza, il cercare di trattenere in sé questo passeggero oscuro, per non svelare il proprio senso di inferiorità.

 

La gelosia può scardinare la psiche. Prima o poi, però, viene fuori: ha la legittimità sociale dell’esistere tanto che molte coppie desiderano “come prova d’amore” la gelosia del partner. Da questa considerazione deriva che  la gelosia, dopo un’eruzione, che libera per un pò la mente, può avere momenti di quiete. Ci sono momenti di intimità in cui la gelosia è del tutto assente o, al contrario, evocata come trigger di eccitazione in un rapporto sessuale.

 

La timidezza se non ci esponiamo a stimoli specifici, scompare. Lo stesso si può dire per la paura.

 

L’invidia a cui grazie a Dio sono alieno, mi sembra una brutta bestia per l’ecologia della mente.

 

La scienza ufficiale, nelle ultimissime ricerche svolte nel 2018, sottolinea l'importanza dell'invidia come motore del comportamento sociale perché promuove la competizione, ma altri studiosi non sono d'accordo sulla sua concettualizzazione psicologica. 

 

Esaminando la letteratura più recente (2017-2018),  si distinguono tre teorie incongruenti e pertanto confusionarie:

  1. Teoria dell'invidia malevola o maliziosa
  2. Teoria dell'invidia doppia (cioè l'invidia che assume 2 forme, benigne e malevola)
  3. Pain Theory of Envy (cioè, l'invidia guidata dal dolore)

 

Cinque studi, condotti su 1237 pazienti suggeriscono che l'invidia consiste dei suddetti tre fattori: il dolore (cioè la preoccupazione per la situazione che provoca l'invidia, cioè l’inferiorità), predice sia l'invidia benigna (il solo desiderio dell’oggetto dell'invidia, la motivazione migliorativa, l'emulazione dell’altro), sia l'invidia dannosa (cioè la comunicazione sull'altro, l'aggressione diretta, l'aggressione non diretta). 

 

Uno studio di campionamento dell'esperienza suggerisce che lo sviluppo temporale dell’invidia,  l'invidia benigna e maligna sono costrutti attitudinali duraturi. 

 

Applicando i risultati di questo studio in una meta-analisi sull’invidia in 4366 pazienti, è risultato che l'invidia è fortemente e positivamente correlata al comportamento produttivo se malevola, rispetto all’invidia provocata dal dolore e dell’invidia benigna.

 

Riflettendo su queste conclusioni, derivanti dall’analisi di un grande numero di pazienti si evince come non siano ancora chiare le motivazioni psicologiche dell’invidia, quanto invece siano chiare le radici psichiatriche derivate dal metodo della battaglia navale del contributo scorso invidia colpita e affondata.

 

Infatti, la terapia farmacologica, per una persona che si rivolge ad uno specialista per sentirsi meno invidiosa, è molto più efficace della terapia psicologica pura, dimostrando che se si somministrano lievi dosaggi di antidepressivi si riduce la base di autostima che è la radice dell’invidia. In questa situazione, le componenti ansiose di paura, di ossessività, di timidezza non hanno più una base di bassa autostima su cui poggiare. Quindi, la struttura mentale che avevamo visto sostenere l’invidia crolla e con essa l’invidia stessa.

 

Le conclusioni sono sorprendenti per i non addetti ai lavori: un disvalore sociale come l’invidia, che istintivamente siamo soliti pensare essere suscettibile ad una mono-terapia psicologica, trova invece un concreto beneficio nella blanda farmacologia. Questo perché è più semplice intervenire sulla singola base depressiva, che è alla base della bassa autostima, piuttosto che sciogliere lo shanghai costituito dagli intrecci tra bassa autostima e istanze psicologiche ansiose che abbiamo descritto martedì scorso nel contributo invidia colpita e affondata.

 

Al termine di questa riflessione sugli studi scientifici più recenti, sono sempre più convinto che, rispetto agli altri “vizi capitali”, l’invidia sia un problema di difficile risoluzione se non ci si avvale di una approccio multidisciplinare, come ci si trovasse di fronte ad un disturbo conclamato e invasivo di notevole entità.

 

Psychopathological Processes Involved in Social Comparison, Depression, and Envy on Facebook.
Pera A.
Front Psychol. 2018 Jan 23;9:22. doi: 10.3389/fpsyg.2018.00022. eCollection 2018.

 

Cognitive neuroscience of social emotions and implications for psychopathology: examining embarrassment, guilt, envy, and schadenfreude.
Jankowski KF, Takahashi H.
Psychiatry Clin Neurosci. 2014 May;68(5):319-36. doi: 10.1111/pcn.12182.