Cervello in Tilt

Relazioni Complicate

7 Giugno 2018

Relazioni Complicate

Sesso e gelosia

di Stefano Michelini

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AIDA

 

Non parlo. Continuo a non parlare. Lo aspetto. Ho le mani legate e le caviglie legate. Lo aspetto. Sanguino. Lo aspetto. Mi sono abituata ad aspettarlo. Lo aspetto senza sosta. Riconosco l’odore della sua pelle. Riconosco al tatto il bronzo salmastro della sua pelle ruvida. Immagino l’odore salmastro della sua pelle ruvida. Lo aspetto. Delirante, lo aspetto. Chiedono il mio nome da tre giorni non parlo. Ho fame. Non parlo. Ho sete ma lo aspetto. In un angolo di muro, legata mani e piedi, non parlo e lo aspetto. Ferita lo aspetto. Senza incertezza, lo aspetto. Anche se dovessi aspettare mille anni, resterò qui senza parlare, senza bere, senza mangiare, dimenandomi, calmandomi, perdendo i sensi, risvegliandomi con le labbra screpolate, disidratata di significati, ammansita, sfiancata, illusa, disillusa. 

Non parlo. Viscerale plagio di una vita, lo aspetto. Pazza di lui, aspetto il profumo bronzeo della sua pelle salmastra. Non parlo. Non dico chi sono. Non parlo. Lo aspetto. 

 

 

Non ho parlato. Ho vinto. Sono fuori senza identità. Nessuno sa chi sono e mi muovo libera. Le cicatrici ai polsi e alle caviglie sono guarite. Sono pulita. Mi permettono di camminare. Mi permettono di pensare. Penso a mio padre. Penso a Radamès. Penso ai miei due uomini dalla pelle ruvida. Ora penso a mio padre. A quest’uomo che non accetta ricatti e che verrà a prendermi. Io sono calma e aspetto mio padre. Io sono calma e penso a Radamès ogni secondo di questa attesa. 

 

 

Ho parlato per vederti. Ho vinto. Ho rivelato il mio nome e il mio rango per vederti. Ho vinto. Figlia di Re etiope, io ti amo. Prigioniera senza nome ero, prigioniera figlia di mio padre Re sono. Libera di vederti. Ho vinto. Cresce di spazio in spazio la mia pellicola, avvolta a te. Tutto dentro l’amore che cancella la mia mancanza d’aria. Io sono il tuo sudore in battaglia. Io ho un nome, tu hai un nome, Radamès. I tuoi amici mi hanno rapito e mi tengono prigioniera. Ma sono vicino a te e mi sento libera. Ho vinto. Ti vedo ogni giorno e so che mi vedi ogni giorno. Ho vinto. Ti aggiri tra gli altri con il torace nudo salmastro. Ti guardo. Amneris ti guarda. Io guardo lei. Noi guardiamo te. Io guardo lei. Lei mi osserva. Tu cammini guerriero tra noi due, proietti ogni ombra a terra e diventi una roccia altissima, un obelisco di bronzo puntato contro il mio ventre bianco. Divarichi in me ogni mia mossa, laceri ogni resistenza, cancelli mio padre. Amneris guarda le ombre del tuo corpo allungarsi verso lei. Si sdraia sopra il tuo collo, con le mani sparge la sabbia sulla tua schiena, la sgrana ruvida sulla tua pelle. Ho parlato per vederti e ho vinto. Vedo tutto questo gioco di ombre nere che si allungano dentro di noi donne che ti guardiamo. Il piacere condiviso di te. Cancelli mio padre che non accetterà nessun ricatto e che ti verrà a cercare. Ti cercherà come ti cerco io, con la stessa pazienza spinata, con lo stesso piglio testardo. Ho bisogno della tua ombra lunga per non pensare. Ne ho bisogno ogni giorno. È il mio pensiero fisso. Eccola. Uscita dall’idea di Amneris, la tua ombra lunga è di nuovo in me e si spande. Petrolio solido fa un calco del mio ventre bianco. Profuma di bronzo. È calda la tua ombra salmastra. Amneris non è sazia. Mi guarda. Le faccio un cenno. La invito. Ho vinto. Ho un nome che tutti sanno. Sono prigioniera. La invito. Non ho paura delle sue mani sull’ombra nera della tua schiena larga. Aspetto mio padre, ma ho te. Amneris non è sazia e accetta il mio invito. Si bagna le mani con la saliva. Le appoggia a terra. Smuove la sabbia nella tua ombra. Il sole picchia su di te amore mio guerriero. Amneris appoggia le sue mani sulla tua schiena e ti sgrana la sabbia salmastra. Ora chiudo gli occhi. Ho tutto. Ho vinto. Non ho mio padre. Non ho la libertà, ma ho la tua ombra dentro e la tua schiena spalmata di sabbia. 

 

Nel silenzio mio padre si avvicina e si sdraia accanto a me. Mi accarezza le spalle. Io sono Aida piccola. Mi stringe il collo con una mano. Potrebbe soffocarmi in ogni momento. Ma non lo fa. Gli basta farmelo intendere. Fremo. Io sono Aida piccola. Mi parla del pericolo, degli uomini, dei miti e dei guerrieri. Mi giro e gli chiudo le labbra con le dita. Lo abbraccio e sono piccola quanto il suo torace salmastro. La piccola e dolce Aida che sono si attacca alla sua pelle ruvida. Solcata da una vita dissoluta, io trovo dolcezza nella pelle ruvida di mio padre. Non sento gli odori delle altre donne. Se la lecco è sempre salata e sa di mare africano. Mio padre mi parla dei ricatti e giura di non averne mai accettato alcuno. Dice di avere ucciso per questo e la morte, tra le sue labbra, sembra un sonno inferto. Mi parla della protezione, della mia protezione, mi accarezza ed io fremo, piccola quanto il suo torace fremo. Bianca come solo le bambine possono esserlo, il mio corpo nudo lo assale in tutto il suo candore. Io penso a Radamès. 

 

Io sogno me bambina e mio padre. La mia pelle bianca non ha pace. 

 

 

AMNERIS 

 

Averla qui con me ora la tua bocca Radamès. Leccarti la guerra che hai dentro. Sorridere muta del tuo stupido senso di patria, quando la sola patria che hai sono io. Tu sei un mio piccolo appezzamento di terreno bronzeo e salmastro che mio padre, Re di Egitto, mi ha regalato per il mio compleanno. Sei uno schiavo senza catene che solo la sorte ti ha tolto. La sorte benigna che ti ha fatto crescere in questa corte. Sei uno schiavo bellissimo e addestrato all’onore. Il petto scolpito sulle scalinate aspetta impaziente la sentenza degli dei. Vuoi essere tu il guerriero comandante. Vuoi vedere i tuoi muscoli bronzei in battaglia a rotear di sudor le lame. Sei il nostro giocattolino di guerra. Un Big Jim che una bambina di cinque anni lascerebbe per noia. Io non ti ho mai lasciato per noia. Subito mi sono accorta del tuo essere maschio dal piccolo cervello addestrato all’onor patrio. Il mio letto da quel momento ti ha sempre atteso. Un maschio di bronzo con un piccolo cervello da guerra. Ho sentito il mio ventre comprenderti. 

 

Oh Radamès, uomo desideroso solo di correre contro di me pieno di patrio onor, di conquista, di picchetti infilati nel territorio nemico, di schiavi portati a mio padre.
Oh Radamès, uomo bronzeo dai muscoli tesi, che altro non ambisce che alla marcia trionfale. 

Oh Radamès come potrei non aspettarti ogni notte.
Oh Radamès con nessun pensiero mai che non sia la patria, la guerra, la conquista, il ritorno con gli schiavi, l’accoglienza trionfale, nudo, completamente nudo, passare tra noi donne festanti senza rivolgerci uno sguardo, tutti gli sguardi di noi donne rivolti a te.
Oh Radamès, Oh Radamès sempre e solo mio sarai. 

 

Mio padre mi ha regalato anche Aida. Mi ha regalato un altro piccolo terreno.
Oh mio piccolo terreno, bianco e semplice. Coltivato a viti, ti ho fatto arare a fondo. Ti ho sviscerato e dissolcato fino alla falda profonda. Delle viti nessun seme più. Ti ho fatto seccare al sole. Ho irrigato io stessa i campi vicini, ma non tu. Ho visto le tue crepe aprirsi di aridità invidiosa e livida. Sei una donna destrutturata Aida. Sei una donna dall’amore infantile e riarso Aida. Sei una piccola semplice donna innamorata dello stesso mio Big Jim

Come risolverla Aida questa sciocca incomprensione sullo stesso giocattolo guerriero dalla pelle salmastra?

Tu Aida sei un mio piccolo terreno bianco e semplice, che ho distrutto con pazienza. Vita in te non sarà mai possibile. Ancora rantoli d’amore, ti sento. Attraverso le crepe aperte brami una goccia d’acqua che io sperpero nei campi vicini. So che senti gemere le tue radici al rumore fresco dell’acqua che non arriverà mai a te. Ti ho distrutto con sagacia e pazienza. Immortale e freddo il mio odio. Io non faccio fatica con te. Sei la piccola formica che inseguo con il dito mortale. Posso schiacciarti in ogni istante, ma aspetto fantastica la tua sorte. 

 

Schiacciami possente Radamès su questa terra secca. Il sole picchia alto ma mio padre austero dorme. La corte dorme. La città dorme. L’Egitto dorme in questo giorno dal tempo fermato. Picchia il sole sulla tua testa mentre mi schiacci sulla terra crepata. Mi attacco ai margini con le mie dita esili. Cadrei nel baratro se non fossi attaccata a te. Le radici assetate di Aida mi succhierebbero ogni linfa in fondo alla crepa. Ma tu mi tieni infilata alla tua lancia che odora di ferreo sangue e di stupido onor patrio. Sei denso mio Radamès, compatto, una macchina da guerra senza pensieri interferenti. Ormai mi hai viziato a questo tuo non pensare. Ti sento piccolo disabile eburneo spingere in me il tuo onore strenuo. Il sole picchia a martello sulla tua pelle e sulla mia testa. Il rullo di tamburi arriva lo sento. Goccioli sudore sulle mie labbra e su questo terreno bianco e semplice. Ti concedo una goccia Aida, te ne concedo due. Assapora assetata l’acqua dei campi vicini.