Cervello in Tilt

Relazioni Complicate

14 Febbraio 2018

Relazioni Complicate

Invidia

di Stefano Michelini

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[ PICCOLO, TRISTE FRAMMENTO DI UMANITA’ DETERIORE DI UNA INSIDER ANONIMA ]

 

“Ogni qual volta che un amico ha successo una piccola parte di me muore”
Gore Vidal

 

 

Quando ero piccola ero brava a scuola, ero pulita, educata, non giocavo per strada, non conoscevo parolacce e mi vestivo (mi vestiva mia mamma) sempre bene, non griffato, ma per bene. Ero una bimba intelligente, intonata, multitasking, studiavo musica, danza, giocavo a pallavolo. 

Ricevevo cattiverie e dispetti, mi prendevano in giro e non sapevo il perché. Mi chiedevo cosa dovevo fare per essere come gli altri, accettata insomma. 

 

Convinta che essere mediocre non era la chiave del successo, mi impegnavo sempre di più. 

 

Mia madre mi diceva sempre: lascia stare è solo invidia e io mi chiedevo, ma perché invidiosi di me?  

 

Eppure ero io che invidiavo gli altri perché chi più alto, chi più magro, chi aveva la casa di Barbie e una Barbie che io non ho mai avuto, chi aveva la casa al mare, chi una casa grande, chi portava il panino a scuola e non la mela. 

 

È tutta invidia mi dicevo, ma non capivo bene di che si trattava e non provavo a indossarla, perché non era mia e non mi apparteneva. 

 

Mio padre mi ha insegnato che quando non conosci il significato di una parola devi cercarla sul vocabolario. Ed io lo facevo e trascrivevo anche ciò che leggevo su un quaderno. A volte i dubbi restavano e il vocabolario non riusciva a darmi tante spiegazioni. Almeno non quelle che volevo, ma ero curiosa e sapevo che mio padre non si sbagliava. 

 

Poi un giorno al catechismo conosco l'invidia come uno dei sette vizi capitali! Soltanto nominarli mi faceva sentire in colpa. In effetti, quando poi realizzavo di essere vittima dei vizi capitali mi sentivo spacciata... 

 

La mia felicità, la mia bravura, la mia sincerità, la mia forza di volontà, la mia generosità, la mia precisione, la mia onestà, la mia dignità facevano sì che fossi sempre io la prescelta. Per esempio: per leggere le sacre letture in chiesa, per recitare la parte della protagonista, per stare sempre in prima fila, per passare il compito e fare i disegni di tutta la classe, per lavorare e studiare e per passare ore al telefono a farsi raccontare tutte i problemi delle amiche adolescenti. 

 

Ma l'invidia era sempre lì e non mi apparteneva. Nessuno era inferiore, nessuno era peggio di me, ero solo certa che io non volevo avere ciò che apparteneva ad altri. 

 

Chi si sentiva inferiore mi feriva, mi confessava la propria inferiorità, ma non a mani giunte e capo chinato, piuttosto col coltello tra i denti, una mela avvelenata e il canto delle sirene…

 

Chi era povero voleva la mia ricchezza, ma non sapeva come prenderla, come averla, e allora si travestiva da mendicante e chiedeva elemosina, a volte senza nemmeno parlare, ma solo tendendo la mano. 

 

Ma io non ho mai desiderato essere povera, mai desiderato essere finta mendicante. La loro miseria non mi ha mai ammaliato. 

 

Voglio essere ricca, non povera, come tutti. Eppure non c'è ricchezza che io abbia trovato nelle persone invidiose.   

 

Se non sei felice, nessuno t’invidia.

 

Cosa si vince a essere invidioso, cosa si guadagna? Potrei provare, mi dicevo. Come funziona il gioco? Su che cosa si punta? Quante probabilità ho di vincere e di essere soddisfatta della vincita? 

 

Ecco, ci ho provato, e nel momento di presunta massima maturità di donna. 

Lo confesso. 

 

Non ho vinto. 

 

Non ho guadagnato. 

 

Non ho esultato.

 

Non ho capito nemmeno come si gioca. 

 

Mi sento fallita. 

 

Ora si che sono davvero invidiosa. 

 

Ho chiesto spiegazioni, ma non al vocabolario. Ora è troppo tardi per raccontare quello che c’è dietro l’invidia, compreso il mio riuscito tentativo di diventarlo. 

 

“Ho sempre vinto l’invidia, la vigliaccheria e la malvagità coprendole di maestosa invisibilità e di appariscente indifferenza.”
Federico Fellini