Cervello in Tilt

Psico Art

7 Dicembre 2018

Psico Art

Diga

di Massimo Vannucci

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Questa è una vicenda fondamentale.

 

Siamo a fine agosto. 

 

Avevo portato in diga una bellissima radica d’olivo, preparata per essere trattata. 

 

Il giorno precedente le avevo dato accuratamente l’olio di lino cotto. Molto abbondante. Il giorno seguente era già tutto assorbito e pronta per la verniciatura. Avevo tutto appresso. Me l’ero portato a mano la mattina presto, quando ero venuto via da casa con Alfa. 

 

Posai lo zaino e le due borse piene di attrezzi e colori. 

 

Iniziai a colorare la ciocca. Camminavo avanti e indietro sul cemento, a piedi scalzi ovviamente. Davo qualche pennellata. Fumavo. Mi tuffavo. Uscivo rapidamente perché l’acqua in diga è molto fredda. Ancora pensavo a quello ch’era successo a casa con mio padre.

 

Il giorno precedente (domenica) ero andato con qualcuno, qualcuno che non ricordo. Ma non ha mai avuto importanza ricordarselo. Quello che mi è rimasto è la sensazione (reale) di essermi di nuovo divertito. Parlai con dei ragazzi sconosciuti, forse svizzeri, in inglese. Ballai. Feci una consumazione. Poco o niente alcool. Non ero ‘storto’, per niente. M’ero divertito di nuovo, semplicemente.

 

Quando rincasai la mattina, che era già giorno, con l’espressione appagata stampata sul volto, trovai mio padre in piedi, sveglio, in boxer e maglietta della salute. Le mani atteggiate a sconforto, si avvicinava. 

 

Come fare a spiegare in un attimo, che la serata/nottata appena trascorsa era stata importante, semplicemente perché  mi ero sentito di nuovo IO?

 

La sua faccia distrutta. 

 

Percepii tanta sofferenza interiore in lui.

 

Lo abbracciai e mi feci cadere delicatamente sul tappeto insieme a lui. Gli presi il volto tra le mie mani. “Papà! Ora lo faccio io il papà! Ma così non va bene! E allora prendo la mia roba da artista e vado via!”. Uscii fuori e gridai qualcosa rivolto al vicino di casa. Poi rientrai e preparai le borse con cura. 

 

Con Alfa, le borse e lo zaino andai in diga. E qui ricomincia la storia.

 

Era una ciocca d’olivo trovata una sera. Non avevo voluto resistere al suo fascino. L’avevo caricata sulla carretta e portata a casa. Pulita perfettamente dalle impurità. Pronta per essere trattata. In diga ci sarebbe stato l’ambiente ideale per verniciarla. Potevo usare a mio piacimento un grande spazio senza preoccuparmi di sporcare.

 

 

Non ho idea di quanti chilometri abbia percorso quel giorno. Ma ho camminato molto. Il sole intenso. Scalzo. Sul cemento. Ripensavo a quello che era successo. Davo qualche tocco di colore alla radica.

 

 

Alfa sembrava a suo agio. Era il primo cane che possedevo. Una signora di Anticiana, me lo aveva donato. Senza vaccini. 

 

 

La sera avevo appuntamento sotto l’alberone, dove sempre ci ritrovavamo. 

 

Come  di norma girava ‘un Luciano’.

 

Ero in piedi davanti la panchina con Alfa al guinzaglio, una catenella metallica, modificata a cappio, che tenevo a mo’ d’anello nell’anulare destro.

 

Vidi arrivare la macchina di mio padre da una direzione insolita. Non stava provenendo da casa.

 

Scese con un sorriso troppo affettato. Afferrò la mia mano, stretta a pugno, cercando di togliermi il guinzaglio. Contemporaneamente Sito mi cinturò dalle spalle. Non stringeva, non era necessario. Io non cercavo di muovermi, Sito sapeva come contenermi senza irritarmi. Io ero immobile, lui mi arginava largo. Ma gridavo. Facevo talmente baccano che sentì pronunciare la parola “carabinieri”. Immediatamente si allentò la presa di Sito. 

 

Partimmo io, mio padre e Alfa alla volta della caserma. Bastava attraversare il ponte. Come scena non era un granché. Fui accecato dalla rabbia, persi la ragione, persi il contesto, ma non persi il controllo. Non ricordavo il motivo per cui ero lì insieme a quattro o cinque carabinieri in borghese, di quelli che hanno gli appartamenti sopra gli uffici.

 

Mi volevano arrestare. Non so perché. Me lo immaginavo.

 

Forse non mi volevano nemmeno arrestare.

 

Forse mi volevano arrestare perché urlavo.

 

Non avevo quasi più voce. Ma il tono era terribile. Come la faccia.

 

Mi avevano tradito. Fatto cadere nel tranello.

 

Esordii dicendo: “Lo so che mi volete arrestare! E allora io sputtano tutti!”

 

Iniziai un monologo interminabile. 

 

Ogni tanto il maresciallo mi picchiettava il petto con il suo ditone (ha delle dita veramente grosse).

 

Ad un certo punto, mio padre e il maresciallo si appartarono. Quando tornò, disse che se avessi dichiarato di rientrare a casa, mi avrebbero lasciato andare, altrimenti sarebbe stato chiamato un medico per farmi esaminare. 

 

Cambiai faccia. 

 

Con immenso dispiacere mi scusai del fastidio recato. 

 

“… io torno a casa con mio padre!”, proferii con naturalezza.

 

Papà m’aveva promesso che avrei fatto quello che mi pareva una volta uscito di caserma. E infatti tornai in diga.

 

Stava venendo giorno. Ma non era una bella giornata. Sembrava che avrebbe potuto piovere da lì a poco. 

 

Alfa ed io eravamo sotto il ponte della ferrovia.

 

Ecco qualche gocciolina. Ci siamo, ora piove! Per fortuna che siamo alla fine dell’estate, non è freddo.

 

Le goccioline diventarono gocciolone. Iniziarono tuoni e lampi. Il classico acquazzone estivo.

 

Mi riparo sotto gli archi del ponte.

 

Si alza il vento. 

 

‘Tempo zero’, per usare un’espressione militaresca, l’acqua sale fino a ricoprire i massi su cui dovevo passare per raggiungere la strada.

 

Il problema non ero io, anche se mi muovevo su punte di sasso. Non avevo timore per me. Se l’acqua fosse salita troppo mi sarei arrampicato sul ponte che stava lì sopra. Non so come avrei fatto, ma ce l’avrei fatta. L’unico problema era Alfa. Non aveva ancora i vaccini del veterinario e soprattutto non si sarebbe salvato se fosse caduto nell’acqua in corrente. 

 

Decisi di ripercorrere la via a ritroso.

 

Lo tenevo in una mano. Era un cucciolo di tre mesi.

 

Lungo la via del Brennero le auto erano ferme, con l’acqua in corrente sul manto stradale. Io con Alfa a piedi che andavo a casa. Casa dei miei in vista. Casa dei miei, da cui ero venuto via la mattina.

 

Arrivato, dissi a mia madre che Alfa era senza vaccini, fradicio e che aveva bisogno di asciugarsi: doveva rimanere in casa. E’ l’unica volta che è entrato. Io andai a riposarmi.