Cervello in Tilt

Problema Cibo

30 Novembre 2017

Problema Cibo

Confine tra disagio lieve e disagio grave nell'alimentazione

di Stefano Michelini

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La combinazione di un ambiente obesogenico (che induce a uno stile di vita sedentario e al tempo stesso offre stimoli ripetuti al consumo di alimenti) con un contesto culturale fortemente influenzato dall’industria della dieta e della moda (che idealizza la magrezza e disprezza l’eccesso di peso) può favorire lo sviluppo dei disturbi dell’alimentazione. L’industria della dieta è fortemente implicata nello sviluppo del disprezzo sociale nei confronti delle persone affette da obesità e, indirettamente, nel favorire lo sviluppo dei disturbi dell’alimentazione, perché enfatizza, attraverso slogan pubblicitari, l’idea che le persone che hanno un peso in eccesso sono non attraenti, deboli, pigre, golose e malate e che solo con la perdita di peso potranno essere felici e risolvere i loro problemi. I canoni dell’aspetto fisico promossi dall’industria della moda e della pubblicità sono difficili da raggiungere per la maggior parte delle persone. Ciononostante, molte persone, con la speranza di adeguarsi a questi canoni, intraprendono un controllo della propria alimentazione che diventa con il tempo sempre più rigido, fino a sfociare, nei casi in cui è presente una vulnerabilità, in un vero e proprio disturbo dell’alimentazione. Nelle società occidentali, le donne sono incoraggiate a perseguire la magrezza, perché quelle magre sono considerate più competitive e vincenti, dato peraltro confermato da diversi studi sociologici. Ciò può spiegare perché alcune donne interiorizzino l’ideale di magrezza e sviluppino una valutazione di sé eccessivamente dipendente dal peso e dalla forma del corpo.

Le conoscenze sui Disturbi della Condotta Alimentare (DCA) si sono evolute in modo significativo negli ultimi cinque anni con dati sempre più precisi sulla pericolosità del disturbo e sull’approccio terapeutico globale. Per quanto riguarda i numeri della pericolosità sono quasi completamente afferenti all’anoressia, ma non sono trascurabili nemmeno i dati provenienti dalle conseguenze dell’obesità. L’approfondimento più rilevante è identificabile nell’approccio terapeutico globale, mentre in tutti gli altri settori le conoscenze sono piuttosto statiche, non chiarificatrici e poco stimolanti. Con questo approccio, c’è una ampia evidenza scientifica, che rivela una maggiore efficacia di intervento in qualsiasi disturbo nell’ambito del comportamento alimentare, con notevole miglioramento della qualità della vita del paziente. Questo, nonostante il fatto che l’essenza dei vari disturbi ci sfugga. Le nuove classificazioni non sono da considerare una rivoluzione, le ipotesi eziopatogenetiche brancolano nel buio, i farmaci sono sostanzialmente gli stessi e somministrati senza un supporto globale sono inutili. Il progresso maggiore da parte degli specialisti di settore è avvenuto nella comprensione dell’accoglienza medica di un paziente con DCA e come indirizzarlo in un preciso percorso. In sintesi sembrano essere stati colti dagli addetti ai lavori i paradigmi della complessità nei DCA. L’adozione di un modello interpretativo bio-psico-sociale dei disturbi del comportamento alimentare determina un approccio terapeutico multi-modale la cui gestione operativa avviene nel gruppo di lavoro. La pratica del trattamento multi-modale dei DCA richiede una valutazione diagnostica multi-assiale, non necessariamente intesa come quella proposta dai manuali diagnostici, ma su indagine capillare sulle condizioni psicopatologiche e medico/nutrizionali in comorbilità, sulle condizioni familiari e psicosociali. In base a questi criteri è possibile progettare un intervento terapeutico mirato e personalizzato che può includere l’integrazione coordinata di trattamenti psico-educazionali, ospedalieri, farmacologici, riabilitativo-nutrizionali, psicoterapeutici individuali e familiari ma anche di interventi sul territorio in partnership con i Servizi Sociali e il Privato Sociale. Il coordinamento, specie nelle situazioni in cui ci si avvale di risorse di rete, è affidata a un care-manager in grado di presidiare i diversi livelli di comunicazione e coordinare i passaggi tra i diversi livelli di cura e i diversi servizi.

Anche se statisticamente i dati di remissione completa sono utopici sia come affidabilità, sia come possibilità di averne, possiamo certo dire che, a livello psicologico, un qualsiasi paziente che abbia problemi con il cibo trova una risposta e un iter.

In questa introduzione sulle novità emerse nella terapia della bulimia e del binge eating disorder (Disturbo di Alimentazione Incontrollata), è impossibile non menzionare le meta-analisi molto dettagliate sull’utilizzo della Realtà Virtuale come strumento terapeutico efficace in questi disturbi.

In prospettiva, ci sembrano interessare anche alcune speculazioni già innescate nel passato, ma mai portate fino alle loro estreme conseguenze con protocolli scientifici: esistono davvero i disturbi della condotta alimentare o il cibo è solo un denominatore comune di diverse patologie psichiatriche in comorbilità? L’Anoressia nelle sue varie forme è un sottotipo di Disturbo Ossessivo Compulsivo invece che una comorbilità psichiatrica? La Bulimia è un Disturbo del Controllo degli Impulsi, assimilabile nello spettro del Disturbo Bipolare? Il disturbo di alimentazione incontrollata che radici ha? Perché una paziente con questi disturbi decide se optare per le condotte e il tipo di eliminazione o meno?  Altri quadri sindromici vincolati al cibo come Avoidant/restrictive food intake disorder, Night eating syndrome and sleep-related eating disorder, Ortoressia, Bigoressia, devono essere ancora meglio definiti per quanto riguarda la loro appartenenza agli spettri del Disturbo Panico Agorafobico, Parasonnie, e Disturbo Ossessivo Compulsivo