Cervello in Tilt

Memoria

5 Settembre 2018

Memoria

Memory card

di Stefano Michelini

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Il mio è uno strano tipo di memoria. In genere mi guardo indietro e vedo una sorta di nebbia, nella quale si profila qualcosa di indistinto, qualcosa che devo sforzarmi di ricordare. Riportarlo alla luce è un atto di volontà. Mi sgomenta di avere dimenticato cose che a suo tempo avevano avuto una grande importanza per me. Poi mi chiedo se davvero mi sgomenta avere dimenticato. Mi interessa davvero conoscere questa parte di me, almeno una metà dei miei anni o forse più, che altri eventi hanno seppellito? L’altra metà di me stesso, o forse più, è così interessante da essere riesumata? 

Sono sorpreso di come gli altri spesso si ricordino aneddoti o situazioni complesse della mia vita più di quanto io stesso ricordi. Che gli altri siano più interessati al mio passeggero obliato rispetto alla mia storia visibile? E se questo valesse per tutti? E se la memoria che lasciamo fosse quella che si ricordano gli altri e non la nostra? Se tutto questo fosse un altro magheggio biologico, per suddividere la memoria di noi in due diversi hard disk? In questo caso perché? 

Potrebbe essere stabilito dal DNA universale, che alla mia morte io porti con me la mia visione ristretta e autoreferenziale della mia vita; ma che gli altri, ancora in vita, conservino clips diverse che ricompongono l’altra metà di me stesso. Potrebbe essere. Ma perché? Immagino cinque persone che mi hanno conosciuto, parlare mentre consumano una cena di fine estate. Ciascuno di loro potrebbe aprire la sezione del loro hard disk in cui sono stoccato. Ciascuno di loro porterebbe ricostruzioni personali, in parte sovrapponibili, in parte del tutto inedite a quelle degli altri commensali. “Ma ti ricordi quella volte che?” “Sì, Sì quando arrivò tardi all’esame di Specializzazione” “No, non era all’esame di Specializzazione, era alla finale del campionato allievi professionisti contro il Torino” “É vero, è vero, arrivò tardi perché era con la sua ragazza. Elda, era con Elda”. Se non si facesse così precocemente tardi nelle sere di fine estate, il processo di richiamo della memoria altrui su me stesso andrebbe avanti all’infinito. Ciascuno apre voragini nel ricordo della vita degli altri. Un cervello da solo non basta evidentemente a racchiudere lo sviluppo esponenziale di noi stessi. La nostra storia deve essere distribuita negli altri e avrà termine quando tutti, tutti, tutti intorno non ci saranno più. 

La nostra memoria personale è un album fotografico. La nostra memoria conservata negli altri, un archivio immenso. Anche se non abbiamo combinato niente di significativo. Cos’è la malattia di Alzheimer allora? Un problema per noi o per gli altri intorno a noi?