Cervello in Tilt

Le eterne promesse

8 Febbraio 2018

Le eterne promesse

Nessuna promessa

di Stefano Michelini

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 Mio caro Philippe, come avrai ben capito, qui si va a braccio. Grace sta meglio, anche se il dottore non perde occasione per farmi capire che le sue condizioni sono disperate. Mi spiega che i suoi miglioramenti sono dovuti a un atteggiamento diverso nei confronti della malattia e che questo è abbastanza tipico. Come se non fossi in grado di capirlo da sola, mi dice che questo è un bene. 

 

Il medico dice che le analisi parlano chiaro. Mi tiene sotto pressione, perché sa che a me basta poco per sperare. È vero, mi basta vederla di nuovo senza più quelle labbra tremule e riparto, riparto subito con i sogni e le illusioni.

 

Hai ragione Philippe, mille volte ragione, non sono più io. La mia mente smonta e rimonta a caso. Affastella costrutti fragili e interpreta sul momento, tutto sulla difensiva, tutto sull’ansia o sulla speranza. Non c’è logica. Non mi ritrovo.

 

Dal primo istante mi sono sentita impotente. E mi sono resa conto di come l’impotenza generi affanno. Ci si deve muovere perché l’alternativa è una sofferenza immane. Ci si deve illudere, io che non mi sono mai illusa. E non si hanno progetti. Si va per l’assistenza e ci si riempie di luoghi comuni. Poi, ci si vomita sopra.

 

Philippe, non sono riuscita a cavare un ragno da un buco.

 

Tu vuoi che io ti racconti… ma vedi… ricado sempre nei vecchi discorsi… e per questo spesso preferisco non dire niente… perché poi lo so come va… se parlo… se comincio a parlare… ho l’ossessione di dover raccontare tutto dall’inizio per filo e per segno e credimi, in queste circostanze, non c’è cosa meno sensata da fare…

 

Io sono tornata subito indietro, te lo giuro. Tornai immediatamente... non che fosse triste o più bassa di tono... non so dirti meglio... lo capii subito però... e in aereo non pensai ad altro... per scoprire poi che era tutto vero… che in effetti c’era qualcosa … lo capii al volo... a volte basta un attimo per rendersi conto...

 

Come sai, ho deciso di comportarmi come se niente fosse accaduto... sai che se voglio ne sono capace e che non mi sfugge nulla…mai domande su come stava…non lasciavo trasparire la mia inquietudine… un’ indifferenza ostinata…

 

…amo come non mai la mia volontà bastarda e vado avanti… costi quello che costi… 

 

…e il prezzo da pagare è stato alto Philippe, mi è stato difficile... dentro... le mie abitudini... il rientro frettoloso da Parigi... lavorare per corrispondenza... senza vedere negli occhi i miei interlocutori... m’innervosiva... di giorno mi sembrava di impazzire e di notte non riuscivo a prendere sonno, tormentata dai sensi di colpa… Grace se ne andava e io non facevo altro che a pensare a me stessa… mi sentivo un mostro e non riuscivo a sentirmi diversa…

 

E’ stato il tempo del disagio. Ho annaspato, inventato soluzioni estemporanee, agitandomi invano, senza riuscire a capire subito che l’unica cosa che dovevo fare era arrendermi. Avevo promesso a me stessa, giurato sul Dio più potente che non l’avrei fatto.

 

Ho infranto ogni giuramento. Ho spezzato con i denti sanguinanti ogni anello della stupida promessa e mi sono arresa.

 

Mi sono arresa.

 

Sono arrivati i nuovi giorni… lunghe passeggiate da casa nostra fino al mare per diluire la difficoltà... il cielo, mi ricordo... sempre fresco e lindo... si camminava... le scarpe lasciate vicino allo stesso cespuglio... tutti i giorni... la riva... sedersi, perfino! Grace, allergica a ogni eccesso di contemplazione, riusciva a stare zitta... qualche istante... in silenzio... solo a guardare... 

 

Anche di quelle passeggiate conservo un ricordo globale, come quando si parla degli anni del liceo o dell'università... alchimie misteriose che legano per sempre un ricordo complesso a una semplice sensazione... 

 

…ogni volta che respiro l'aria del mare, rivivo la sintesi di quei giorni felici... le sue impronte sulla sabbia... il cespuglio che il nostro animismo aveva trasformato in un amico fedele... il grigio delle onde... la complicità di una lotta comune... ancora adesso... tutto torna irrimediabilmente fuori… 

 

Nessun dolore, almeno credo, almeno spero. 

 

Consumiamo la tregua sul letto, sdraiate. La luce limpida e la camera che non sembra quella di una malata. Ore di pura serenità.

 

Sconfiniamo in nuove prospettive. Ci chiediamo se per caso non sia questa la nostra età dell’oro.

Poco dopo la mezzanotte, uno scarto secco di situazione. La sua sensibilità era di nuovo alterata, lo capivo da come si riparava gli occhi, da come volgeva la testa in direzione dei suoni. 

 

Il ricordo di se stessa da piccola, quando voleva mettere la sveglia nel letto e stare lei sul comodino, tanto per dimostrare al dio del tempo chi fosse il vero depositario dei ritmi. La fierezza di un ricordo infantile, ma che ai suoi occhi sembrava chi sa che cosa. Un aneddoto raccontato a tutti gli amici, fino alla noia.. Ma io tenevo bene la parte e mi mostravo sorpresa tutte le volte che lo raccontava.

 

Quando siamo agli sgoccioli, si ricicla tutto e - per lo meno io - mi affanno al setaccio. Ci lavoro sopra giorno e notte. Mi attacco al più piccolo ricordo. È un gioco al massacro, la compulsione di infilarsi spilli sotto le unghie.

 

Il secco tic tac nel buio e Grace si ritrovò in superficie, fuori dai fondali melmosi. Sveglia e di nuovo lucida, non riuscì più a dormire. Mi sono seduta vicino a lei e mi ha confessato il suo più grande cruccio del momento. Anzi mi ha proprio invitato, chiedendomi: “Vuoi davvero sapere per cosa sono in pena ora?”

 

Le veniva da ridere a pensare ai disastri che avrei combinato in casa in sua assenza. Voleva sfruttare gli ultimi giorni per prepararmi un manuale di sopravvivenza: quanto pane comprare, come scegliere la carne migliore, organizzare le pulizie, chiamare il giardiniere. 

 

Poi, un nuovo scarto, un guardarsi intorno con gli occhi sgranati e di nuovo l'ansia, la sua paura di far tardi. Un appuntamento, ma non si ricordava con chi. Una dolorosa scena che si ripeteva tutti i giorni. 

 

Non sapevo che questa era l’ultima replica in programma.

 

Immagino la sua mente. Una rete piena di buchi ormai. Branchi di idee luccicanti, catturate per un solo attimo e poi via, lasciate libere senza lottare.

 

Suo padre, altri familiari sconosciuti intorno a lei. 

 

"Hai visto come sta bene oggi?"

"Voglio vedere la televisione! Voglio vedere la televisione!"

"Shh! Fate piano bambini"

"No, gli fa piacere sentirci"

"Oggi si è ripresa. Visto come sta bene?"

"Hai visto che bel colore che ha?"

"Ha mangiato tutto, sai?"

"Non la forzate, lo sapete. Quante volte ve lo devo dire."

"Date retta al dottore".

 

Il dottore incrociò il mio sguardo. 

 

Grace richiuse gli occhi.

 

La  paura che se ne vada con l'ansia di quell'appuntamento.

 

Occhi aperti, di nuovo.

 

Li richiude.

 

Se ne vanno, il dottore li fa uscire tutti. Rimaniamo in tre: Grace, io e il baratro.

 

Riacciuffata da un coma nero. Persa di nuovo.

 

Mi allontanano... mi fanno scendere... consolano la mia maschera... dentro muoio… e via... scivolo nelle fessure dei tombini... mi disgrego di nuovo... torno in un attimo quella che ero prima di lei... frantumata…come una pazza ubriaca... per strada tiro dentro aria... voglio riprendermi tutto... tutte le parole sparse... tutte le risate insulse… si anche le promesse in cui credevo con ogni cellula del mio corpo.

 

Philippe, ascoltami. Mi hanno portato via a forza. Non mi riusciva altro che leccarle i capelli, la testa, da tutte le parti, dietro le orecchie, sulla nuca... continuavo a baciarle il polso, il suo precario legame con la vita... ne bastava un filo per umiliarci tutti... la sua voglia di esserci... da chinare il capo... non mi vergognavo più di chiedere pietà... 

 

Scusa.

 

Sbigottimento e poi dolore, un dolore cattivo e oltraggioso. Due giorni di lame e martellate, martellate sul seno, sulle caviglie fredde, sugli zigomi, dovunque potesse essere più cattivo; poi, con vergogna mi sono sentita libera... 

 

Corsi ad aprire la finestra... l'aria limpida... soffiare via tre anni di barricate... scesi al piano terra e poi fuori, cercando di cominciare qualcosa... tornai di sopra... ecco, ora ricordo bene... difficile attesa di un boia silenzioso... aspettare un boia... capisci... ecco perché la sua energia e il suo coraggio mi infastidivano... riuscivo a vederci soltanto un'ostinata ribellione... aspettare un boia...

 

Le donne finirono il loro lavoro in silenzio.

 

Mi sono svegliata con gli occhi pesanti, da non farcela a tenerli aperti. Ho provato a muovermi ma anche le braccia... le gambe... mi sentivo un pupazzo enorme di piombo cavo... assolutamente cavo, in modo che il vuoto si sentisse... 

 

… la cercai dentro... prima di uscire dal letto... con le gambe finalmente fuori dal letto... la cercai ancora... ma non sentivo nemmeno il dolore... era sparita di nuovo... come in quei tre maledetti giorni... senza preavviso... sparita... un mare fermo davanti... un oceano di fango... 

 

… non ce l'ho fatta a mettermi in piedi... e sono arrivata al telefono strisciando per terra...

 

Sono tornata a leggere le sue agende... la calligrafia sempre nitida, annotava piccoli dettagli della vita quotidiana... del tutto inutili ora... un campo di girasoli di notte... 

 

Sono arrivato persino a negarli... uno per uno… stremata... capace soltanto di pensieri a corto raggio... 

Una lunga fila di palme piegate fino a terra da un uragano tropicale... non riuscivo a immaginare niente di più opportuno… soltanto voglia di vento addosso per ore... il nostro vocabolarietto di dieci parole spazzato via per sempre…

 

POST SCRIPTUM

Ogni sera, quest’aria calda mi mette una strana calma addosso. Mi placa. Non vorrei, ma mi placa. Silenziosa, sincronizza i miei diversi registri. La pace, una pace frugale, la trovo qui, seduta tra conchiglie arancioni e grossi pesci morti. Così per ore, i fogli sulle gambe e i piedi freddi, indifferente alla brezza residua. Indifferente a tutto.

 

A distanza di tre anni, Philippe, continuo a camminare giorno e notte su un filo luminoso teso tra i tetti di Parigi; mi muovo ormai come un’equilibrista, esperta dei vuoti e dei contrappesi. Eternamente sospesa tra partecipare la vita o continuare a vederla formicolare dall'alto, mi sento trattenuta solo dalla corda tesa del mio essere diversa. In passato, soltanto Grace e gli angeli della mia vanità mi hanno impedito di cadere; ma ora, a quarant'anni, ritrovo intatti nel crogiuolo delle mie mani l'arbitrio del mio tempo e la fisicità del mio destino. Nessun ricatto, nessun dio, nessun presunto tale, nessuna promessa sembra più minacciarmi.

 

Perdonami e se puoi conserva un buon ricordo.