Cervello in Tilt

La distorsione dell'immagine

5 Dicembre 2017

La distorsione dell'immagine

Distorsione dell'immagine corporea

di Stefano Michelini

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Nei nostri giorni l’ossessione estetica è dilagante. Ma se si parla di bellezza delle forme non si può non parlare del “valore della bellezza e del suo impact factor con la nostra vita quotidiana. 

Il crescente interesse sulla bellezza come valore, è evidenziato dalla ridondanza mediatica di informazione specialistica e dai motori di ricerca su Internet: il numero di siti non sponsorizzati che con tengono "cellulite" come parola chiave è maggiore dei siti evocati dalla parole chiave "democrazia". Il messaggio è chiaro: la bellezza delle forma è basilare per i membri del villaggio globale.

Nel corso della storia, l'estetica ha assunto valori, caratteristiche e riferimenti diversi. Il contesto attuale prevede un'attenzione bisex massimale sul proprio corpo che privilegia come modelli di riferimento, "Ultramagro Levigato per la donna e "Snello Muscolare" per l'uomo. Questi modelli si inseriscono in un mondo frenetico e relazionale in cui l’apparenza gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo di progetti esistenziali. Una vasta letteratura psicologica dimostra in modo inequivocabile come una "bella presenza" costituisca un valore aggiunto notevole che garantisce, fin dall'infanzia, maggiore successo sociale, ma anche voti migliori a scuola, maggiori opportunità di lavoro e un più rapido e meglio retribuito sviluppo di carriera. Questa notevole rilevanza dell'estetica si inserisce in un processo di generale superficialità dei valori esistenziali: è sotto gli occhi di tutti che valori della generazione '50 e '60 come Impegno, Programmazione e Contenuto siano già ricordi sbiaditi, e abbiano lasciato spazio ai valori trendy degli adolescenti e dei giovani adulti di oggi, "Massimo Risultato col Minimo Sforzo", "Estemporaneità" e "Forma”. E quando si parla di forma si intende appunto forma-bellezza, forma-relazione e, in una accezione più ampia, forma-apparenza. L'apparenza è ormai centrale nel nostro assetto psicologico: se non siamo a posto, se non ci presentiamo bene, se la nostra immagine non è la più gradevole possibile, non stiamo bene. E, come accennato nell'introduzione, l'apparenza è soprattutto criterio di valutazione sociale. Ci rendiamo conto quindi che I'apparenza non è più una questione di specchio ma di opportunità esistenziali».

 

Quando si fonda la nostra serenità su un valore effimero e cangiante come l'estetica, si deve pagare dazio alla soggettività e quindi al fatto che quello che un giorno ci appare bello o comunque accettabile, il giorno seguente può esserlo molto meno. Ecco quindi che l’insoddisfazione corporea è sempre latente, sempre possibile, un piccolo grande demone sempre in agguato. E questa insoddisfazione sul proprio corpo va ad impattare  clamorosamente con la nostra vita. Sia in un contesto patologico (anoressia e disturbi dismorfofobici), sia e, soprattutto nella qualità della vita, di noi cosiddetti normali. La qualità della nostra vita viene ad essere inquinata in modi differenti, confluenti in quello stato d'animo che gli psicologi americani chiamano "Normal  Discontent" e che rappresenta la frustrazione quotidiana che più o meno sperimentiamo tutti che ci vorremmo sempre un po' diversi da quello che siamo. il disagio psicologico aumenta quando le preoccupazioni sul proprio aspetto assumono lo spessore di ossessioni più o meno blande, per arrivare a un quadro di disagio maggiore che altera in varia misura il nostro comportamento. Una distorsione dell’immagine corporea che inizia e che può avere un decorso variabile, morte inclusa.

 

Il mito di Narciso ricorre in ogni articolo sulla bellezza e, in particolare, sugli "effetti collaterali" dell’estetica. "Vivrà finché non vedrà la propria immagine" profetizzò Tiresia alla ninfa Liriope, madre di Narciso. E in effetti, per moltissime persone, uomini e donne, è proprio così. Anni di più o meno serena convivenza con il proprio   corpo, poi, improvvisamente qualcosa si spezza, come uno squarcio in un vetro fragile, senza urti, senza cause apparenti. Per molte delle ballerine che vedo nell'esercizio della mia professione è proprio così. Un giorno, dopo anni relativamente tranquilli trascorsi tra punte e specchi, si vedono improvvisamente diverse. Una prospettiva particolare, la sensazione anomala in un salto, un commento anche positivo di una compagna o dell'insegnante, e inizia un incubo: da quel momento, inizia un sottile tormento, una non accettazione cronica, che si estingue con il riposo notturno, per rinnovarsi, come un aguzzino implacabile, ogni mattina. L'immagine di sé deformata cinge la serenità in un assedio. E l'ossessione non è quella di una bellezza in assoluto, ma è quella del "levigato", del "liscio" che coincide con l’eliminazione di quella minima piega cutanea sull'addome, di quei pochi centimetri di pelle a buccia d'arancia, o di una smagliatura.

 

Sensazioni e pensieri ricorrenti con diverso livello di pervasività possono coinvolgere tutte le parti del corpo, ma solitamente riguardano il peso e le rotondità; i tarli più frequenti sono il pensare che "tutte le persone sono più magre di me", "le persone con il mio stesso peso sembrano più magre", "sono grasso e non valgo nulla come persona", "mi sento goffo e deforme"».

 

I comportamenti disfunzionali sono moltissimi: alcuni semplici, altri complessi e quasi grotteschi. Esempi classici sono: indossare sempre abiti scuri, chiudere gli occhi passando davanti ad una superficie che riflette l'immagine, evitare di indossare vestiti che scoprono il corpo, non truccarsi per essere meno visibile e lasciare i capelli sciolti per coprire il viso. E ancora, indossare collant spessi o contenutivi per coprire la cellulite, non indossare scarpe basse perché fanno sembrare le gambe più grosse, evitare luoghi dove è necessario esporre il corpo, appoggiare solo le punte dei piedi a terra per evitare che le cosce tocchino il sedile allargandosi quando ci si siede, evitare di essere fotografato, indossare vestiti che mettano in risalto una parte del corpo e che distolgono l’attenzione da altre parti del corpo. Inoltre, evitare di trovarsi in situazioni di intimità fisica, non uscire con persone più magre rinunciare a situazioni sociali in cui si pensa di essere al centro dell'attenzione, controllare quanto spazio rimane sulla sedia quando uno è seduto, controllare lo spessore delle pieghe delle guance per misurarne il grasso, provare a stare in piedi e sedersi in varie posizioni per controllare le forme del corpo. Ma non solo, altri esempi includono il chiedere rassicurazioni agli altri sul peso e/o forme corporee, controllare se si riesce a toccare le ossa sotto la pelle, stendersi sul pavimento per vedere se le ossa toccano per terra, controllare l’aspetto della pelle delle cosce per vedere se si ha la cellulite, trattenere il fiato tenendo in dentro la pancia , controllare se le cosce si toccano fra loro, provocare commenti da parte degli altri sul proprio peso e/o forme corporee, prendersi le pieghe delle pancia tra le dita per misurare la quantità di grasso e tastarsi parti del corpo per controllare la presenza di grasso.

L’insoddisfazione e/o la distorsione dell'immagine corporea deriva dal fitto intreccio tra una predisposizione ereditaria e la pressione di situazioni sociali in cui si teme che si possa parlare di peso. 

 

In una prospettiva più filosofica c'è bisogno di alimentare una nuova saggezza culturale, termini un po' vaghi, ma di meglio non c'è. 

 

Non è questo website idoneo per addentrarsi nei meandri del significato del concetto di predisposizione ereditaria, sia perché necessita di competenze specifiche, sia perché di certezze non ce ne sono. La risultante finale di tutto però è abbastanza chiara. Sia tra noi "normali" e ancora di più nella patologia, chi soffre di più lo fa in virtù di un cervello che è un eterno registratore di imperfezione e di disallineamento rispetto a un modello ideale. Ecco quindi che pochi centimetri di pelle a buccia d'arancia vengono vissuti come estese aree di imperfezione, seni non perfettamente orientati vengono vissuti come incubi e cosl via.

 

Il modello della Barbie, concepito sia come bambola, sia come rappresentante del mondo delle top-models, ma soprattutto come icona del mondo occidentale del modello di riferimento attuale "Ultramagro Levigato". La bambola Barbie non è un giocattolino neutro. Le bambine in una fascia di età tra i 3 e i 7 anni, vergini dal punto di vista dei riferimenti, giocando questo modello di femminilità, interiorizzano queste forme, si proiettano in Barbie, diventano Barbie e questo crea problemi, perché studi retrospettivi su bambine sovrappeso dimostrano che nei gruppi si auto-emarginano, hanno già esperienze sgradevoli del proprio corpo, hanno minori iniziative e sono solo all’inizio di un tam tam che accompagnerà la loro vita. E se si guardano i numeri di Barbie bambola, ci rendiamo subito conto che il fenomeno non è affatto trascurabile: Barbie ha oggi 58 anni, festeggiati il 9 marzo scorso. Portati benissimo, va ammesso. Il 99% delle bambine del mondo occidentale ne ha almeno una, nel villaggio globale se ne vende una ogni 2 sec, per le immense fortune dei proprietari del marchio. Ecco quindi che poi, quando un messaggio iniziato a tre anni e perpetuato nel tempo incontra una predisposizione ereditaria molto forte si verificano i drammi, dove non si parla più di frustrazione, ma di vita e morte.

 

Abbiamo citato un mito greco, Narciso, e possiamo citare anche Terminator, mito robotico buono dei nostri tempi. Terminator condivide con le donne una straordinaria visione analitica delle forme. Il Robotico umano Terminator riusciva a codificare in gradi e codici tutto l'ambiente circostante, esattamente come la maggior parte delle donne che entrando in un ristorante in dieci secondi sanno perfettamente quanti carati totali e individuali sono nella stanza, la bellezza media delle altre donne con deviazione standard, la densità delle firme, tutto insomma. 

 

Ma questo pregio esasperato si trasforma spesso in un difetto, quando un banale inestetismo cutaneo viene sezionato e amplificato fino a infondere un profondo malessere. Come Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie, che si occupa delle grandi patologie ma soprattutto delle nostre disfunzioni di tutti i giorni, abbiamo quindi pensato di cellulite e smagliature anche di modesta entità, rappresentano un problema psicologico rilevante. I risultati parziali di uno studio in corso a Pisa su un progetto del Dr. Stefano Michelini, il Prof. Antonio Lucacchini e la Dr.sa Paola Italiani, riferito a 500 donne di età compresa tra 21 e 66 anni, ha evidenziato che per 488 donne, cellulite e smagliature anche di modesta entità, rappresentano un problema psicologico-rilevante.

Il fenomeno generale di questa distorsione dell’immagine corporea che parte dalla cellulite e arriva alla morte di una anoressica, in termini generali non è arginabile, così come l'inquinamento. Il contributo della ricerca di base e della psicologia cognitivo comportamentale possono essere determinanti nel ridurre i danni a valle. In una prospettiva più filosofica, in questo pericoloso intreccio mediatico tra sovrastima dell'immagine, culto della chirurgia estetica e fragilità psicologica, c'è bisogno forse di alimentare una nuova saggezza interiore e auspicare una valorizzazione dei valori sociali e relazionali ormai considerati “vintage".