La Città Provvisoria

16 Maggio 2018
Presunti Sani nella città provvisoria
di Stefano Michelini
Sono stato molto male in questi ultimi giorni. Ho toccato il fondo del dolore. Non ci sono abituato a stare male, perché come quando ero un promettente calciatore, gioco in anticipo. Sono molto attento in modo naturale su anticipare il dolore e gli errori, così attento da essere il massimo della distrazione nel resto della vita normale. Errori di distrazione su cui, come mi piace sempre dire, Freud scriverebbe valanghe di libri anche da morto.
Oggi, per esempio, sono uscito per vendere il mio orologio simbolo, perché la mia reazione al dolore, dopo che l’ho analizzato a fondo è dare via libera all’istinto distruttivo.
Di solito è il contrario: Si subisce un torto assurdo, si sta male come non mai, si reagisce d’istinto e violentemente, poi si analizza il tutto e si ritorna ad una visione chiara di tutto.
Secondo me il mio sistema è più ecologico, perché la violenza ti sale dopo che hai capito e risolto il problema. Se ti arrabbi prima, le tue capacità analitiche sono estremamente ridotte e il dolore resta più a lungo, attivo nella sua tortura lenta.
Ripeto: A me avviene il contrario nella sequenza: Subisco un torto assurdo, sto male come non mai, analizzo il tutto per valutare errori che posso avere commesso, imposto un piano razionale e quando ho ripreso assetto, mi lascio andare al discontrollo totale.
In questo caso specifico, ho eliminato dal Mac una collezione di 21507 foto, selezionate come solo un ossessivo sa fare. Non mi ha dato soddisfazione, perché so che ci sono copie negli hard disk e in Cloud. Quelle in Cloud le ho eliminate, ma gli hard disk sono inscatolati in un trasloco per non so dove.
Dovevo fare di più e ho deciso di vendere l’orologio, il mio simbolo vintage, un Patek Philippe ultrapiatto, che chi mi conosce sa quanto valore simbolico abbia per me. E’ il regalo che mi feci al ritorno dall’America, nel 1995. Era un orologio d’epoca. Se volete, potete vederlo nel post le Basi Cognitive del Perdono. Una meraviglia.
Era fermo sulle 9.50 da due anni ma in questi giorni, forse se lo sentiva, era arrivato alle 9.59, come per dirmi sono ancora vivo.
E’ stato bello vederlo aprire in due, ricordare, in quei pochi secondi, l’ultima volta in cui ho visto gli occhi del mio bambino.
Sentire l’orefice dire quanto fosse umido, senza più il vuoto interno, dava importanza al fatto che non funzionasse, mentre io adoravo la sua presunta sana volontà di non segnare il tempo: contrariamente al comune pensare, è un orologio fermo che ti dice quanto vale il tempo. TI dice Ora e Subito.
Inebriato da un vero gesto distruttivo, nel privato del mio essere, ho preso i trecento euro dell’oro, sono uscito e mi sono perso nelle strade di Roma per trovarmi nella Città Provvisoria, in cui ho sempre incontrato qualcuno di interessante con cui scambiare alienità.
Oggi, che volevo festeggiare questa parziale opera distruttrice, non ho trovato nessuno per molti chilometri.
Poi, ho intravisto una sagoma rarefatta molto lontana e ho accelerato il passo; mano mano che mi avvicinavo, capivo che era il mio bambino, ma invece di definirsi di più si rarefaceva fino a sparire del tutto, quando ormai ero a un metro da lui.
Solo un biglietto vicino all’impronta dei suoi piedini
Una dedica: Per il mio papà.
L’ho tenuto in mano per un pò, per paura che si dissolvesse, ma poi non ce l’ho fatta più e l’ho aperto:
Caro papà questa è la storia: Un Maestro zen disse al suo allievo :"Questo è un bastone"; mentre l’allievo stava per prenderlo, il Maestro disse che se lo prendeva gli rompeva la schiena; ma anche se non lo prendeva gli avrebbe rotto la schiena; terminò la sua lezione dicendogli che se stava fermo ancora un pò gli avrebbe rotto la schiena lo stesso. L’allievo lo guardò negli occhi, prese il bastone e lo spezzò in due parti, che dispose in ordine sul tavolo del maestro e abbassò il capo in segno di rispetto.
Di colpo mi sono ritrovato nel negozio dell’orefice. Il mio orologio era ancora lì, intatto. Segnava le 9.59.