Cervello in Tilt

Il senso della vita

2 Giugno 2018

Il senso della vita

Tra-pianto

di Federico e Giulia Marchi

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29 maggio 2018. Siena, ospedale Le Scotte.

 

A distanza di 3 anni dal trapianto, ripercorriamo questi corridoi, con lo stesso spirito, alla maniera di noi.

 

Proviamo la stessa alleanza gioviale di“Amici miei”; abbiamo sempre sdrammatizzato e alleggerito un percorso di salute, che tutto era fuorché facile e scontato.

 

Devo dire che, a distanza di tempo, la nostra incoscienza e scemenza, tramutata in leggerezza ha di sicuro avuto la meglio su tutto.

 

Corro indietro con la memoria, gli sguardi un po’ persi e l’incertezza nella testa ci accompagnarono a quel primo appuntamento medico, in cui scrupolosamente c’era da capire se esisteva davvero la remota possibilità del trapianto per te e la possibile donazione per me.

 

Come in ogni sceneggiatura all’italiana, ci presentiamo all’appuntamento: con il medico si parla più di forma che di sostanza, di dettagli tecnici che di essenza umana.

 

Domande di alto livello, impresse nella memoria: “Qualcuno ti ha costretta qualcuno a scegliere di donare il rene a tuo fratello?”

Rispondo, ma mi sento stupida e spiazzata, come un automa di prima generazione.                                                                                                                                                                                                                        

Non sapendo che, da allora in poi, sarebbe iniziata una sequenza infinita di idiozie di ogni genere.

 

Formalismi burocratici, esami clinici, il tribunale e tante altre frasi fatte sarebbero diventate le protagoniste di un percorso per niente medico, ma solo paraculo.

 

Ci aspettavamo altro quello è sicuro, ma per forza di cose  e per la nostra sopravvivenza fisica e mentale, ci siamo dovuti inventare la supercazzola ospedaliera.

 

Ci siamo evoluti nella paura e nell’incertezza del domani; abbiamo trovato la chiave di svolta per affrontare con il sorriso il percorso pre-trapianto che ci stava aspettando.

 

Sono iniziati e continuati mesi densi di esami clinici, test di compatibilità ed è iniziato per le nostre famiglie un periodo fatto di timori e di paure.

 

L’ostinazione di mia madre, che non voleva in nessun modo accettare l’esistenza effettiva della malattia e la necessità oggettiva del trapianto, ci trovavamo così molto spesso ad invertire i ruoli tra figli e madre. Essere noi a incoraggiarla.

 

La diffidenza delle persone della nostra sfera lavorativa e sociale che ci guardavano come alieni che non sapevano da che parte andare, non sapendo però che alieni lo eravamo davvero, per come stavamo affrontando tutto.

 

Poi c’erano quelli a cui non gli fregava nulla di quello che ti era capitato e che stavi vivendo, si scocciavano per una sostituzione a lavoro, non ti capivano se ti distraevi dagli impegni economici e lavorativi. 

 

Ecco mi piace definirle comparse, proprio come le ha definite Stefano nel post di ieri “Verrà il tempo”.

 

Il tempo è realmente venuto il giorno dopo al trapianto. 

 

Tutto si è dissolto in un attimo.

 

La diffidenza, l’ostinazione e le comparse sono volate via in un secondo.

 

In noi è rimasta solo l’essenza, come era sin dall’inizio; le risate in momenti di disperazione, qualche medico buffo da imitare, il primario che spara una delle sue battute, il chirurgo che ci spiega l’intervento come se stessimo per giocare la più bella partita di calcio, la straordinarietà di poche cose che hanno reso quei momenti unici.

 

La bellezza della donazione per me e la gioia di chi finalmente è tornato a vivere!

 

Un rene che è partito come un missile, la voglia di lemonsoda, il Té verde di mio fratello e gli infermieri che portavano i cellulari a due presunti incoscienti come noi,  che si erano appena operati.

 

Gridare a tutti che era arrivato il momento di ridere!