Cervello in Tilt

Il senso della vita

19 Maggio 2018

Il senso della vita

Santa Rita da Cascia: tra sacro e profano

di Giulia Marchi

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Margherita Lotti, meglio conosciuta come, Santa Rita da Cascia è la Santa con i jeans, lo smartphone e un cervello pieno d’amore

 

Sono sempre rimasta colpita dalla sua innata predisposizione a risolvere le situazioni della vita, anche le più violente e offensive. Lei che ha difeso fino all’inverosimile il suo grande unico amore: Dio.

 

Lei voleva Dio e se lo è preso a 30 anni, notizia che ho saputo poi. 

 

Trovatemi un’altra donna che a trent’anni conquista, in un cammino esistenziale impervio, la pace e la passione dei sensi

 

La delicatezza nel lavare il corpo di un bastardo di marito e di chiedere a Dio di liberarla dall’umiliazione di vedere morire i suoi due figli come assassini tra gli hooligans del tempo.

 

Donna di grande fascino, avvolta da un denso alone di misticismo, la storia della sua vita mi è apparsa sempre come un altalenante posizionamento tra realtà e mito, tra sacro e profano.

 

Il suo comportamento mi ha spiazzata e nello stesso tempo stregata.

 

In un certo momento della mia vita, devo ammettere che Rita mi ha salvata o forse piace solo a me pensarlo. Non importa. Di fatto mi sono affidata alla sua protezione per un importante intervento chirurgico che ho dovuto affrontare. Come se il bisturi lo avesse in mano lei. Mi dava molta più fiducia di quell’ometto pallido, vestito di verde, che stava per aprirmi, di cui mi imaginavo un pene microscopico e sovrastato dai peli del pube. 

 

Immagini bizzarre dell’anestesia, immagino, ma comunque specchio di quella cosa che tutti chiamano mia anima, ma che nessuno ha mai visto. La mia anima.

 

Non so se ci ho creduto davvero. Fatto sta, che saperla vicina, insieme a tutta la mia famiglia, mi ha dato quel po’ di coraggio in più di cui avevo bisogno.

 

Giulia svegliati, sono Stefano, sei sicura che il chirurgo non fosse una donna che si chiamava Rita e che ti sei fatta tutto un film alla Baracchino, il  nostro Tarantino dei poveri?

 

Stefano mi conosci, sono sempre lucida, anche quando dormo: il chirurgo era un vecchietto e, al massimo ti posso concedere che quella donna vicino a lui si chiamasse Rita per caso e che fosse la sua amante. Un rilassante post stress chirurgico, da sotto la scrivania. Un classico. Forse l’hanno fatta Santa per quello. Perché, per trovarglielo in quella foresta di peli bianchi, senza navigatore, ci voleva santità assoluta.

 

 

Se Rita sia stata una Presunta Sana, o un’infermiera nel pieno delle sue mansioni, non posso saperlo con certezza e non sono una di quelle che dice bugie. 

 

Se avesse scelto da subito la vita in convento invece dell’Ospedale, molto sesso spicciolo e molti dolori della sua vita, non ci sarebbero stati.

 

Forse invece era questo il suo disegno divino e per essere compiuto dovevano verificarsi tutti gli eventi che lei ha affrontato. 

 

Ma questo non mi riguarda, è un argomento troppo onirico e non spetta a me trattarlo. Dovrei tornare nella Città Provvisoria e aspettare qualcuno che mi illumini. Aspettare anche giorni. Ma non posso tornare senza sapere la verità.

 

Ci sono tornata e dopo sei giorni, senza mangiare e senza bere, è apparso Pier Paolo Pasolini, che mi ha raccontato tutto di lei:

 

“Donna mistica e devota, si assoggettò al matrimonio combinato assegnatole dalla famiglia, anche  se il suo cervello, e forse anche altre parti del suo bellissimo corpo, erano predestinati a Dio.

 

Si sposò con Paolo, frigida, senza scomporsi. Paolo, un uomo poco timorato di Dio, ma superdotato, come amava raccontare alle amiche, che, ridendo le facevano il verso: ma così? o così? 

 

Paolone, con la sua naturale fermezza d’animo portò avanti il matrimonio impallinandola di due figli maschi.

 

Un matrimonio travagliato il suo, ma non solo per quando Paolone voleva prenderla da dietro, come piace anche a me, lo sai:  travagliato poiché lui era un uomo difficile e scontroso, ma  l’anima gentile di Rita riusciva  a piegare la sua focosa coscienza e a condurlo sulla retta via: entrare per lo meno dal davanti, non come gli uomini con la clava. 

 

Capiscimi Giulia, tra noi uomini non è questione di clava, non ci sono alternative. C’è un buco in meno rispetto a voi. Comunque, fatti i dovuti distinguo tra clava e non, lei fu una madre amorevole, e portò avanti la sua missione matrimoniale con grande fede, fermezza e con una santità ribelle. Il sogno ricorrente di essere Lorena Bobbit.

 

A forza di sogni lo fece fuori: Paolone venne ucciso in un agguato prodotto al tempo tra guelfi e ghibellini. 

 

Rita senza battere ciglio e con una personalità di diamante giunse sul luogo del delitto togliendo la camicia insanguinata al marito e ne lavò il corpo. 

 

Compì questo gesto per protezione verso i figli, ferma nella sua fede e ponendo sempre Dio al centro della sua vita ora consapevolmente libera; con questo suo gesto delicatamente teatrale, remastered di una qualsiasi Deposizione di Cristo, volle scongiurare la sete di vendetta, che si sarebbe potuta insinuare nei suoi figli. 

E mossa da una fede sempre più ferrea, Rita chiese a Dio in persona, che per preservare i suoi figli da tutto questo lui li accogliesse  con se’ in cielo.

 

Così in un colpo solo, ne avrebbe fatti fuori tre e si sarebbe sentita finalmente libera di librarsi nell’amore trascendente con DIo.

 

Così accadde. I figli di Rita morirono di li’a poco, accolti nel regno dei cieli  puri, senza essersi macchiati di alcun crimine di faida.

 

Rita all’età di 30 anni, finalmente sola, riprese il suo cammino e, da viva, andò verso Dio:  si fece monaca.

 

Questo per me è la metafora del vero femminismo, in un epoca di bestialità assolute, del destino ineluttabile delle donne pavide e oltraggiate.

 

Io ti amo Rita e ti devo molto del mio coraggio di affrontare a viso aperto, ogni tipo di avversità e ogni tipo di amore.