Cervello in Tilt

Gioco d'azzardo

27 Agosto 2017

Gioco d'azzardo

Un problema facile da risolvere

di Stefano Michelini

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Il gioco d’azzardo patologico è un disturbo mentale di facile diagnosi, terapia e prevenzione. Il tutto è reso ancora più semplice dalle esperienze acquisite in altre patologie affini, quali le tossicodipendenze e i disturbi del controllo degli impulsi. Abbiamo linee guida d’intervento già standardizzate e attuate con efficacia. Si tratta soltanto di adattarle al gioco d’azzardo patologico, metterle in pratica e monitorarle. Il business intorno a questa piaga non si interessa e lo sfrutta.
Il caso clinico è molto semplice. In ambulatorio troviamo un paziente che riferisce il suo unico sintomo: essere schiavo del gioco. Gli oncologi, i reumatologi, i chirurghi d’urgenza e non, pagherebbero oro per avere casi clinici di così banale interpretazione.
Eppure, nonostante la banalità d’interpretazione medica, ci portiamo sulle spalle il paradosso di una statistica impressionante di persone affette, che vivono nel disagio grave della malattia conclamata.
Il fatto che il gioco d’azzardo sia una piaga sociale è espressione della difficoltà di ricondurre una condotta comportamentale aberrante a una malattia mentale. Questa difficoltà deriva dal passaggio obbligato in una terra di nessuno, che ha ospitato tutte quelle malattie che rientrano nei vizi capitali, come la dipendenza da alcol, da droghe, dal ipersessualità, dalla cleptomania, dallo spendere compulsivamente. Tutte queste situazioni, prima di essere affrontate secondo il modello medico, stazionano a lungo in parcheggi abusivi di un non intervento pseudosociale. In piena paralisi operativa gli strumenti adoperati sono giudizio, colpevolizzazione e leggi proibizionistiche. Un déjà vu da incubi.
Poi, qualcuno si sveglia dal torpore moralista e si comincia a fare quello che solitamente si fa per ogni malattia: prevenzione, diagnosi, terapia, riabilitazione. Se partiamo da questa piattaforma concettuale, il Gioco d’Azzardo Patologico ha vita breve.
Il primo punto è la segnalazione, di solito è un’auto-segnalazione. Il paziente riconosce il suo disagio e soprattutto è consapevole di dover ricorrere all’aiuto di uno specialista. Questo tipo di primo impatto con il medico non è proprio un’auto-segnalazione pura, perché il paziente è pressato alla ricerca di aiuto specialistico da una persona in relazione significativa. Come in ogni stato di dipendenza, il paziente crede a lungo di farcela da solo, diversamente da come farebbe se avesse una gamba rotta. Pressato o no, comunque il paziente arriva finalmente da uno psicologo o da uno psichiatra.
Dal dentista andiamo quando ormai il dente ci fa impazzire, e anche a questo primo appuntamento, il paziente arriva sempre quando le conseguenze del Gioco d’Azzardo Patologico sono divenute insostenibili economicamente.
L’ascesso purulento del debito pulsa nelle notti insonni del giocatore, della sua famiglia e di chi gli ha prestato i soldi. Prima di procedere oltre nell’iter terapeutico, è da segnalare che una considerevole azione preventiva potrebbe essere fatta proprio nella fase di segnalazione.
I legislatori dovrebbero rendere obbligatoria la presenza di un consultorio psicologico all’interno di una sala giochi che faccia da riferimento per un determinato distretto cittadino. Oltre ad essere disponibile facilmente per etero-segnalazione, il suo contributo sarebbe essenziale nel valutare, con la semplice osservazione, casi e situazioni a rischio, nel descrivere e diffondere materiale informativo, nel prendere contatti con il personale dei punti di gioco. Questo tipo di prevenzione in loco non ha uno spettro molto ampio di azione, e lascia fuori molti giocatori patologici non da sala e tutti i giocatori online, per i quali sono necessari altri tipi di intervento.

Quando la segnalazione è avvenuta, il giocatore patologico è nel posto giusto: di fronte ad uno specialista. Se si tratta di uno psicologo, sarà sottoposto a un’analisi psicologica. Oltre ad un’analisi globale, sarà necessaria una quantificazione di gravità per i tratti d’impulsività e dipendenza dei comportamenti secondari al gioco, come indebitamento progressivo, piccoli, medi furti, bugie continue. Finita questa sua prima indagine, lo psicologo invierà il paziente a uno psichiatra per un inquadramento psicopatologico delle eventuali altre patologie presenti e per impostare una terapia farmacologica. L’utilizzo di farmaci è quasi sempre necessario per ridurre la componente ossessiva ritualistica e la probabile alterazione del tono dell’umore.

Inquadrato, classificato e con una terapia farmacologica, il paziente è inviato di nuovo dallo psicologo. Se il primo appuntamento è con uno psichiatra, il percorso è inverso e si guadagna un tempo di azione.
A questo punto lo psicologo ha davanti a sé un paziente consapevole di essere un malato e all’inizio di un percorso terapeutico, di assumere una terapia farmacologica, di avere speso in visite mediche almeno quattrocento euro, che avrebbe potuto scommettere voglioso di tornare a giocare appena uscito dall’ambulatorio.
La capacità relazionale dello psicologo, più della sua abilità tecnica, è fondamentale nell’arginare questo primo tentativo di uscita del paziente dal controllo medico. La sua empatia nel proporre un programma d’intervento capillare di monitoraggio è, infatti, decisiva. Il programma deve essere molto ben organizzato, tarato sulla gravità delle problematiche da affrontare e personalizzato su quello specifico paziente. Per personalizzazione non s’intende soltanto l’adeguamento del programma al mosaico psicologico e psicopatologico del paziente, ma anche e soprattutto all’affidabilità del suo entourage.
Se il microcosmo relazionale del paziente è affidabile si può procedere con un intervento di terapia di tipo cognitivo-comportamentale giornaliero fuori dall’ambulatorio. In presenza di forti conflittualità, il paziente va invece isolato dal suo contesto relazionale per circa sei settimane, il tempo necessario perché la terapia farmacologica faccia effetto. L’isolamento può essere fatto in una clinica o in casa di una persona gradita al paziente e considerata affidabile dallo psicologo. La misura dell’isolamento non è finalizzata a impedire la reiterazione del gioco, ma alla necessità di evitare conflitti gratuiti al paziente in un periodo molto stressante. In questo periodo è necessario un congedo di almeno sei settimane dall’attività lavorativa e di una blanda sedazione farmacologica. Se, in questo periodo, il paziente desidera giocare è libero di farlo, previo un colloquio con lo psicologo, prima e dopo la scommessa. Lo sbarramento concettuale di un colloquio obbligato, in caso di richiesta di giocare, deve essere inserito nel programma iniziale e condiviso con il paziente. Durante questo colloquio si cerca di rendere consapevole il paziente di quello che sta per fare, illustrando vantaggi e svantaggi dell’atto in quel momento, stabilendo una cifra massima di denaro da giocare e ascoltando le motivazioni della necessità di giocare, quando è appena iniziato un percorso terapeutico. L’atteggiamento dello psicologo dovrà essere chiarificatore, non proibizionista.

Questa tipologia di rapporto rappresenta lo schema base quotidiano, da tenere con il paziente per tutta la durata della prima fase terapeutica. Lo psicologo nelle prime sei settimane incontrerà il paziente ogni giorno. Lo psichiatra avrà un incontro settimanale con il paziente e sia lo psichiatra sia lo psicologo saranno sempre reperibili. In questa fase, se le condizioni cliniche del paziente lo consentono, è bene introdurre attività fisica e fare rispettare al paziente il ritmo circadiano, che spesso è perso nel giocatore patologico: sveglia presto al mattino, colazione, attività fisica e intellettuale, pranzo, riposo, incontro quotidiano con lo psicologo, attività ludiche e relazionali, cena e riposo notturno.

Alla fine di questa prima fase, lo psicologo può trovarsi di fronte diversi scenari, che prevedono follow-up differenti. Il primo scenario è quello di un paziente che sta bene, che capitalizza i vantaggi della terapia farmacologica, dell’interruzione della vita coatta del giocatore d’azzardo, delle strategie elaborate per fare fronte ai debiti e alle problematiche relazionali conseguenti alla patologia, della riprogrammazione esistenziale. In questo caso, il paziente è pronto per un’esposizione graduale ai luoghi di scommessa e alla ripresa, anche questa graduale, di abitudini circadiane meno cliniche e più conformi alla realtà del vivere. Gli incontri con lo psicologo restano quotidiani e, quelli con lo psichiatra, quindicinali. Là dove sia possibile, l’attività fisica deve continuare e il paziente può rientrare a lavoro. Durante questa fase terapeutica permane l’obbligo condiviso con il paziente di un colloquio al bisogno in caso di volontà di giocare, seguito da un colloquio immediatamente dopo. Questa fase ha una durata da valutare in funzione della risposta emotiva all’esposizione ai luoghi di scommessa. Mediamente ha la durata di un mese.

Il proseguimento del percorso è, a questo punto, variabile da caso a caso, in funzione dei risultati ottenuti dalla terapia farmacologica e dal riassetto cognitivo. Se il decorso si mantiene senza recidive, il monitoraggio diventa sempre più blando con un controllo mensile sia psichiatrico, sia psicologico, che persiste fino alla risoluzione delle problematiche secondarie al gioco.

Quando tutti gli obiettivi sono stati raggiunti, il paziente viene dimesso dal programma e seguito da un solo specialista.
Il secondo scenario che lo psicologo può trovarsi davanti, è quello di un paziente che continua a fare costanti richieste di gioco, che saltuariamente non ottempera alle disposizioni condivise nel colloquio precedente la scommessa, che appare frustrato e irritato dopo un eventuale sgarro, scettico sulla terapia farmacologica e recalcitrante all’isolamento relazionale.

In questa situazione, lo psicologo deve rivedere tutto il programma delle prime sei settimane insieme al paziente. La possibilità offerta al paziente di modificare il proprio percorso, crea un allentamento della tensione e consolida la relazione con il terapeuta. Con questo tipo di paziente è consigliabile una terapia addizionale permanente con ansiolitici e stabilizzanti dell’umore, prescritti dallo psichiatra. La lieve sedazione è necessaria per placare la sindrome da astinenza da gioco, che è molto frequente e rende irritabile e non collaborante il paziente. Con questi due accorgimenti si riesce a riallineare il paziente al programma standard. Le sei settimane, in questo caso, si fanno decorrere dal momento in cui lo psicologo percepisce che il paziente è motivato e stabile dal punto di vista umorale.

Il terzo scenario che lo psicologo può incontrare è quello di un paziente con una notevole complessità psicopatologica. Un disturbo ossessivo conclamato o un’elevata instabilità del tono dell’umore suggerisce che il paziente non è pronto alla terapia psicologica di tipo cognitivo-comportamentale. In questi casi s’imposta una terapia farmacologica congrua e si attua un monitoraggio psichiatrico settimanale, senza preoccuparsi se il paziente scommette ancora. Il paziente è avvisato che il primo obiettivo da raggiungere è una remissione totale dal disturbo psichiatrico in essere e che solo in una seconda fase sarà affrontato il problema del gioco d’azzardo. Quando il paziente stabile inizia il programma psicologico descritto. Utilizzando il protocollo descritto, la percentuale di ricadute è funzione della qualità dello psicologo, dello psichiatra e della complessità psicopatologica del paziente. Disturbi mentali gravi riducono la possibilità di una remissione completa,

soprattutto se attivi da molto tempo. I disturbi non curati provocano profonde distorsioni nella vita quotidiana, sia nel settore lavorativo sia in quello relazionale. In questo caso, il giocatore d’azzardo, se pure ben riabilitato e curato, rientrando nella vita consueta, troverà i disagi che ha creato con le condotte aberranti precedenti. Il disagio e le frustrazioni potrebbero ricondurlo all’emozione compensatoria patologica del gioco. Per questo è necessario agire anche sul fronte dei danni fatti inclusi quelli debitori e legali, contemporaneamente alla cura del paziente. Il rientro nella vita consueta dovrebbe avvenire quando il sistema relazionale e produttivo del paziente è di nuovo in assetto.