Gioco d'azzardo

Il brivido di mettere a repentaglio qualcosa di profondamente intimo, come stipendio, patrimonio, fiducia, libertà, salute e vita al fine di ottenere un premio, è antico quanto l’uomo. La scommessa è dentro di noi da sempre, senza saperlo. L’uomo primitivo è uscito dalla caverna con il rischio di essere ucciso dalle fiere per avere in premio la preda prevista. I navigatori hanno affrontato gli oceani su vascelli di fortuna per vincere il monopolio di nuove terre. Gli astronauti si sono proiettati nel buio della gravità contraria per arrivare alle nuove lune. La sopravvivenza e la colonizzazione erano in questo caso premi nobili e il senso della scommessa era reso inconsapevole dal valore umanamente condiviso del premio; ma se da queste vette esistenziali scendiamo nel quotidiano, troviamo altre categorie di scommettitori inconsapevoli: l’imprenditore aggressivo, gli investitori in azioni volatili, gli atleti che praticano sport estremi, i navigatori solitari. La lista di questi personaggi a rischio non valutato è molto lunga: il dongiovanni o la donna predatrice collezionano il piacere di svariati partner occasionali, rischiando l’integrità del loro nucleo familiare o le malattie sessualmente trasmesse. Il fumatore incassa subito il gusto di placare la smania con una sigaretta, per perdere poi la salute e pagare la vita al banco dell’oncologia polmonare.
Tutti questi signori, che pensano di non scommettere, sono in realtà giocatori d’azzardo a tutti gli effetti.
In conclusione si può tranquillamente affermare che l’unico che sa che cosa, quanto e come scommette è il giocatore che entra in un’agenzia di settore. Sa che va per scommettere e anche se è convinto di vincere, dentro di lui si agita il demone della potenziale sconfitta. E se la consapevolezza è indice di un procedimento razionale, è lecito chiedersi se tutti noi che rischiamo, con i nostri vizi, la salute e la nostra vita, agiamo in modo razionale come lo scommettitore classico. Eppure noi scommettitori inconsapevoli non figuriamo in nessuna categoria di disturbo mentale per queste condotte, quando non siano condotte di abuso; eppure, per noi scommettitori inconsapevoli, non esistono leggi che ci tengono lontani da esercizi di tentazione come tabaccherie, case degli o delle amanti, promotori finanziari, partner imprenditoriali spericolati, vette da scendere in fuori pista. La riflessione e il controllo delle condotte a rischio, tra cui il gioco d’azzardo, necessitano quindi di un approfondimento libero da stereotipi mentali, contestualizzato nel periodo storico in cui viviamo e alla luce di un’accezione più ampia della psicologia del giocatore patologico, della sua psicopatologia e della neurobiologia sottesa al senso di gratificazione aberrante e consapevole del giocatore stesso. Lo scommettitore patologico che sa di esserlo, può guarire, spinto un giorno dalla sua disperazione e dal senso coatto del vivere per entrare in una ricevitoria. Noi, che siamo certi di non scommettere, solo perché lo facciamo tutti i giorni senza entrare in un luogo etichettato, non pensiamo nemmeno di andare da un medico. E accendiamo un’altra sigaretta scommettendo che il cancro al polmone non ci verrà. Noi non guariremo.