Cervello in Tilt

Galassie

8 Gennaio 2018

Galassie

Io voglio volare

di Stefano Michelini

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Propedeutica alla lettura. 

Senza ascoltare bene non potrete capire fino in fondo

Giorgio Gaber esprime l’insostenibile leggerezza dell’essere come pochi uomini, anche nel pieno della complessità interiore. Negare la complessità del vivere è un ragionamento per assurdo. 
 
I ragionamenti per assurdo erano l’unica cosa che capivo in matematica. Se partivo da quelli, capivo anche il resto. Troppo complessa era la matematica, l’algebra e tutto il resto, il coseno, le derivate, con tutte quelle X e quelle parentesi di tutti i tipi. Non si può vivere in questo modo delirante di numeri e concetti, per poi arrivare al risultato chiaro dall’inizio: la semplificazione, il ridurre tutto ai minimi termini. 
 
Le criticità non sono opportunità di crescita: sono criticità e basta. Il pensiero logico è la chiave per risolvere il risolvibile, l’ironia il colore appropriato per il tentativo di un bello da vedere. In quest’ottica la disfunzione è iniziale. Il nostro incedere logico è altalenante. Il nostro homo sapiens ubiquitus preferisce agire che pensare, perché pensare è faticoso. Tanto più faticoso quanto più complessa la criticità. 
 
I nostri difetti procedurali, che cerchiamo di chiarire in questo tentativo embrionale di diffondere con Cervello in Tilt, sono vere zavorre. Inficiati da piccoli deficit chimici, affrontiamo la vita al rovescio: in partenza siamo il risultato semplice semplice di un’espressione tipo 1/2, ma più avanziamo con gli anni, più aggiungiamo incognite a volte gratuite, a volte subìte. Alla fine costruiamo un espressione complicatissima che non sappiamo più risolvere. Siamo divenuti pesanti. Pachidermi. Pensare che comunque esistono i ragionamenti per assurdo rasserena e da lì  si può iniziare a decodificare la Babele e tornare a quella sensazione smarrita di leggerezza.
 
Einstein era adorabile per l’approccio ingenuo alla complessità. I suoi circuiti erano lindi da sovrastrutture, che lasciava nella vagina delle sue numerose amanti. I suoi capelli, le trecce rasta di Bob Marley, il distacco dalla morte dell’Imperatore Adriano e della sua animula blandula, il morso ad una mela sana, il lasciarti andare quando senti quel sonno invincibile dopo l’amore, dovrebbero essere le nostre briciole di pane, che Pollicino ha lasciato per strada, per portarci a vivere presenti, ma in sospensione. Se ne sono accorti i tanto bistrattati giovani della generazione successiva alla nostra, che tutto va giudicato in termini di pesantezza e leggerezza: pesante male, leggerezza bene. 
 
Il sospetto della superficialità di questo tipo di giudizio c’è, sopratutto evidente nei fatti della loro non produttività. Ma la logica stringente è questa. Visto da noi industriosi, i giovani sono senza dubbio estemporanei e senza la forza di creare un progetto e realizzarlo. Forse la loro soglia di leggerezza è bassa e primordiale e basta un niente per fare diventare tutto pesante e costruirsi un alibi per non fare niente. Probabilmente sono solo i profeti di una bilancia esistenziale più tarata, che il cervello perfezionerà.
 
Di fatto sono loro che hanno creato le categorie: Pesanti e Leggere.
La reazione del cervello alla complessità è la malattia o la voglia di volare e di amare ancora di più e  in modo migliore.