Cervello in Tilt

Amore e altre Dipendenze Senza Droga

3 Gennaio 2018

Amore e altre Dipendenze Senza Droga

Raffaello e Rita

di Stefano Michelini

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Mio padre, anno 1931. Mamma 1934. La cocaina era l’idea assillante del sesso. Un po’ di simpatia e attrazione, ma soprattutto idea prevalente del sesso. Nell’uomo era straripante ed espresso in una caccia al tesoro continua dalla mattina alla sera; nella donna più contenuto, ma  comunque intenso.

 

Nelle campagne la religione cristiana la faceva da padrona e il proibizionismo di ogni contatto fisico significativo prematrimoniale, aumentava a dismisura il desiderio di aversi. Sempre trattenuto con eleganza dalle donne, ma sotto le gonne e nella mente ardeva il fuoco.

 

I miei genitori abitavano a quattro chilometri l’uno dall’altro: San Gennaro mio padre, Tofori mia mamma. Il primo incontro di ogni coppia era quasi sempre in chiesa o in occasione di qualche processione paesana, come successe ai miei il 14 di Agosto, festa di Santa Maria. 

 

Mia mamma era bellissima, l’originale di Romy Schneider. Dolcissima di lineamenti, come è rimasta fino alla morte. Una bellezza esaltata da una lieve, ma costante solarità e dagli occhi sempre bassi, per non incorrere nello sguardo del lupo cattivo. Mio padre non era un bellissimo uomo, ma era un tipo alla Sam Shepard, versione paesana. Lo potevi vedere spesso appoggiato ad un ulivo in posa da star. Non passò inosservato ad uno sguardo attento di una osservatrice come mia mamma, che riusciva a vederlo anche se guardava in basso.

 

Messa dopo messa, il codice tra loro divenne più chiaro, sempre ad una distanza di sicurezza, controllata dalla nonna, mentre gli uomini dopo la messa si fermavano sulle panche di marmo fuori a parlare di caccia, semine e raccolte.

Mio papà si nascondeva dietro un cipresso sul piazzale, che ora hanno segato, perché malato, e la sua domenica era fatta di quella frazione di secondo in cui mia mamma ricambiava il suo sguardo. 

Ottenuto il trofeo domenicale, fino alla domenica successiva era un brulichio di lavoro nei campi e di pensieri alla sera, che rimbalzavano tra i due paesi limitrofi.

 

Quando mio padre è morto nel 2011 e mia madre era in Alzheimer avanzato, ho trovato lettere antecedenti la data del matrimonio, in cui mia mamma chiamava mio papà Ruffino. Questo era romantico, ma per me insopportabile. Io mi sarei ribellato, era denigratorio Ruffino. Al di là di queste considerazioni spicciole, quelle lettere erano segno evidente che la passione stava alzando la pressione di entrambi. Non sono stato a leggere tutte le lettere e non ne ho finita nemmeno una, per pudore. La loro privacy, sia pure passata alimentava in me più rispetto che curiosità.

 

Mettendoci del mio, immagino quanto si pensassero, e quanti piani elaborassero per potersi incontrare, visto che la loro relazione era sì evidente e benedetta da entrambe le famiglie, ma sempre a debita distanza, non appartenenti nemmeno alla categoria “fidanzati fuori casa”.

 

Poi la cocaina prese il sopravvento. Veniva giù dal cielo come una neve visibile solo a loro. Mio papà, ormai dipendente, prese l’abitudine di alzarsi dal letto la notte, farsi i quattro chilometri, tagliando per i boschi, per passare un po’ di tempo sotto la finestra di camera di mia mamma, dove dormiva con le sue quattro sorelle e un fratello. Logistica complessa.

 

Mio papà, che faceva bene il verso del gufo, provava a vedere se lei fosse stata sensibile al suo richiamo. Quasi sempre non lo era, perché i due paesi erano pieni di gufi e mia mamma non poteva distinguere tra il falso richiamo di mio papà e quello vero degli uccelli. Non è da biasimare nemmeno mio papà, che non era stupido e non avrebbe certo potuto fare il verso di un pappagallo o di una volpe che avrebbero allertato tutto il paese.

Qualche volta la finestra si apriva e mio padre, con le narici dilatate come un tossico di vecchia data, aspirava tutto quello che poteva, cioè nulla, visto che la camera di mia mamma era al terzo piano di una casa in pietra altissima. Questo non ha la minima importanza perché, come la scienza ha poi dimostrato, la memoria olfattiva di avvicinamenti precedenti, esaltata dal successo del suo tentativo alla cieca, lo faceva impazzire. Me lo immagino roteare su se stesso come un Nureev bucolico, prima di riprendere a passo svelto la strada del ritorno nel letto. Niente sonno per l’eccitazione e poi nei campi a vangare. Ma chi la sentiva la fatica?

 

In poco tempo affinarono le loro tattiche di incontri notturni, forse complici le sorelle, non so, e una notte mia mamma uscì di casa; su un poggio freddo, ma che a loro sarà sembrato un pagliaio in fiamme, mio padre colse il suo tesoro e divenne uomo perché era il suo primo rapporto. Mia mamma gli regalò una verginità dal valore inestimabile, perché l’imene era di puro titanio cristiano, il senso di colpa era acido cloridrico, il presagio di essere scoperti, la sua ombra.

 

Non finì benissimo questa prima notte d’amore. Mio papà mi ha raccontato poi, che era così contento che si era fermato sul ciglio di un ponte sulla strada del ritorno e si era addormentato. Nel sonno cadde dal ponte in un campo dove avevano appena tagliato le canne e si trafisse una mano. (Da verificare la veridicità del danno subito). Era ormai quasi giorno e come uno stambecco si fece i restanti due chilometri in salita con la mano insanguinata.

 

Dal punto di vista degli smottamenti del cervello, che accompagnano quasi ogni storia di amore, quello che si può dire che al tempo, c’erano sesso e passione inarrestabili e dirette alla formazione di una famiglia. 

 

La cocaina odierna che fa soffrire, gioire, stalkerizzare, uccidere, ha una componente ossessiva dettata dal senso del possesso reciproco, o di un’ansia di abbandono significativa. Non ci si interroga sul valore dell’uomo o della donna che abbiamo davanti. Ci sfioriamo senza entrare in profondità e quello che si ama non è l’uomo o la donna, ma la difesa del nostro io, dal non possederli più. Nel caso del presunto sano ossessivo, perché si guasta un piano preciso prestabilito; nel caso del presunto sano, con tratti di ansia di separazione, per il timore di rimanere solo/a a vita.

Cocaina o no, l’amore non depurato da tutte le sue sovrastrutture, è un amore destinato a deragliare, più o meno rovinosamente. O, soluzione peggiorativa, la sopportazione eterna.

 

L’amore è un fenomeno biologico troppo complesso per essere compreso. Andrebbe più gustato che capito nei suoi meccanismi intrinseci. Ci sono ancora molte malattie da capire prima dell’amore. 

 

Infatti, nel 2000 ii miei colleghi ci hanno sbattuto la faccia: la Dr.sa Donatella Marazziti, Dr.sa Alessandra Rossi, Prof. Giovanni Cassano dell'Università di Pisa e Prof. Hagop S. Akiskal dell'Università della California hanno pubblicato che, dal punto di vista biochimico, l'innamoramento è identico ai disordini compulsivo-ossessivi. Per questa “scoperta”, nel 2000, sono stati insigniti del premio IGNOBEL, come peggiore lavoro scientifico dell’anno. Pensare che me lo aveva proprio insegnato il professore: prima si è chi siamo e poi siamo innamorati. Chi era ossessivo lo era da prima dell’innamoramento, chi era pavido lo era prima. 

 

L’amore è emancipatorio e generoso come base strutturale, con l’attenzione di lavorare sulle funzioni in Tilt che si individuano nel partner. Fuori da questi parametri, ci sono solo intrattenimenti, per altro, a volte piacevoli e senza pretese.