Cervello in Tilt

Amore e altre Dipendenze Senza Droga

31 Gennaio 2018

Amore e altre Dipendenze Senza Droga

Mount Desert

di Stefano Michelini

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Sono seduta all’ultimo banco. Guardo fuori. Due posti più in là ti passi una matita tra i capelli. Sorrido, felice di questi giorni. Il professore apre il registro. Protetta dalle nostre cose mi sento invulnerabile. La convinzione di andare alla cattedra solo come volontaria. Invece il professore mi chiama. Mi toglie l’arbitrio. Tira fuori il mio nome senza nessuna enfasi e non si accorge nemmeno dell’effetto devastante provocato dal suo gesto. La classe si svuota, rimaniamo solo noi due, due occhi grandi così, ha chiamato solo me ma anche tu hai gli occhi grandi e mi guardi fissa. Anche il professore è sparito. Sul banco i nostri libri sono ancora in ordine. Incredule, non ci resta che raccoglierli nell’elastico e uscire come ogni giorno a lezione finita. Fuori però non è più come prima. Si ricomincia da zero, Grete, e non è un luogo comune.

 

Mi sveglio, cerco di rimuovere i frammenti del sogno. Cerco aiuto in una tazza di caffè preparato con fatica.

 

Mi lavo il viso con acqua fredda. Purtroppo, sono più fuori assetto che nel sogno.

 

Esco. Guardo il cielo stellato e ripulito dal freddo. Guardo il termometro, ma potrei farne anche a meno. Ormai avverto le variazioni anche di due gradi. Ora il barometro interno misura meno diciotto gradi. Quello che ha comprato Grete per scrivere nella sua agenda il giorno più freddo dell’anno, indica meno diciannove gradi.

 

Comincio a scriverti o a scrivermi, non so. A una di noi due comunque, o a tutti e due. Provo a scrivere a te.

 

Cara Grete, sono ancora stordita e interdetta. Non so capacitarmi del passo successivo e non ho nemmeno idea di come sarà tra un minuto.

 

Lasciarci è sempre stato un concetto astratto, uno dei tanti che ci accompagnano silenziosi negli anni. Un evento accatastato nel novero delle possibilità. 

 

L’esperienza non ci aiuta e, malgrado l’età, siamo ancora digiune in materia; il nostro mondo affettivo è ridotto all’osso e nei nostri piccoli numeri siamo state fortunate. Intorno non è mai successo niente. E noi, noi siamo sempre state troppo prese dal vivere per pensarci. 

 

Per riuscire a immaginare una simile eventualità dovevo uscire fuori dal mio pensiero normale, traslare così tanto che il tutto diventava subito artificioso, troppo falso per avere un credito.

 

Alla fine rimane solo una questione tra noi due. Ecco la verità. L’unica. Quella che resta in fondo al pozzo dopo che l’hai svuotato di tutte le considerazioni possibili e immaginabili. 

 

Proprio io, che sognavo di andarmene da eroina, mi ritrovo anonima fin dall’inizio dell’epilogo, spersa in sequenze banali, viste e riviste, consumate ogni giorno dovunque. Il medico, incapace di reggere fino in fondo la propria parte, confessa goccia a goccia le sue perplessità. Poi, un attimo dopo, quando ormai sono ipnotizzata dai se e dai ma e quasi mi rimetto il cappotto e vado, mi consegna l’editto. E, tramite me, al mio piccolo mondo.

 

Anche se continuo a chiedermi dove e quando, il mio futuro concreto è diventato una larva paziente. Il suo bozzolo, una piccola ombra scura nel torace. 

 

Si riparte da zero Grete, questo è il punto.

 

Intorno, nessuno sa niente. Tutto è rimasto uguale. Può tranquillamente trattarsi di un incubo. Ma la tua decisione di rinviare tutti gli incontri e tornare, chiariscono ogni dubbio. Inutile starci a girare intorno. Sono ben sveglia e avviata. A questo punto dipende solo dalla larva, dalla sua smania di uscire.

 

Io sono pronta Grete.

 

Non ero pronta, ho avuto bisogno di tutto e di tutti.

 

Non sei certo una consolatrice, non lo sei mai stata. Mi aspettavo una reazione del genere. Tornare per te è già stato il massimo. E poi hai ragione, che altro fare se non fare, se non allestire una camera d’ospedale in casa nostra, se non circondarsi di medici interventisti. Che altro fare.

 

Il nostro attivismo è tanto necessario quanto fasullo, Grete. Diciamoci la verità, basta guardarci per rendersi conto della contraffazione, anche se ci affanniamo come matte. Ormai te lo posso dire. Col senno di poi, mi sarei risparmiata questa penosa trafila di ospedali, controlli e referti. E tutto il teatrino delle speranze che ancora tiriamo su con una faccia tosta sbalorditiva.

 

Abbiamo fatto errori madornali, Grete, questo mi è ormai chiaro. E la fretta morbosa e la vita morbosa e la disperazione e tutto quello che vuoi, ci giustificano solo in parte. Come due eretiche esaltate ci siamo buttate nel corpo a corpo, un lotta senza esclusione di colpi a cranio rasato. Abbiamo fatto le stesse identiche cose che tutti gli altri avrebbero fatto. Dov’è finito il nostro “pensiero originale”? Ora che serviva davvero, dov’è?

 

Amica mia, ci vuole troppo nerbo per imporsi agli stereotipi dell’umanità. Non ce l’ho fatta. Non ce l’abbiamo fatta, Grete. Gli accadimenti ci inchiodano. La magra consolazione, che se abbiamo tirato via, non è stato per colpa nostra o per lo meno non solo per colpa nostra. Siamo scivolate, scivolate su un fronte comune di debolezza umana, una specie di remissività ancestrale a cui non è dato opporsi. 

 

Mi chiedo solo se questa debolezza inficerà tutto il resto, se quest’andatura da comiche del cinema muto rovinerà la propriocezione ancora viva della nostra corsa, dei nostri piccoli ricordi. 

 

A distanza di un anno siamo già intaccate. Non siamo più noi, inutile negarlo. E spero con tutta me stessa che sia solo una prima fase. 

 

Di colpo siamo diventate affrettate. Questo nastro scorre così in fretta da non capirci più. Anche se non vogliamo, ci parliamo sulla voce, sbattiamo i cassetti più forte, congediamo gli amici sempre prima e i nostri gesti hanno preso un che di duro. Discutiamo a vuoto, cerchiamo ostinatamente punti di vista globali quando un maglione, una penna, un profumo ci riportano in un attimo a questa disperazione cinetica.

 

Non ti arrendi.

 

Ripasso i capisaldi della tua filosofia, li bisbiglio con le labbra appiccicate al vetro della finestra, li scrivo nel vapore appannato, li cancello con la mano, li bisbiglio di nuovo: “l'intransigente negazione del dolore”, “il positivismo a oltranza”, “il darsi solo per ricavarne qualcosa”. Storie! Le tue teorie sulla vita fanno ormai acqua da tutte le parti. Come non ammetterlo. Al primo vero urto, sono franate. Non te ne faccio una colpa, funziona sempre così, è la doppia partitura della vita, un registro per gli eventi normali, uno per i drammi: il ritmo, le regole, il metro di giudizio validi nel primo, sono ridicoli nel secondo. 

 

Grete, credimi, non stai perdendo niente: tutte le prese di coscienza di questo mondo, i giudizi ponderati e non, le notti sui libri, gli occhi rossi e la mente esausta, non ti hanno portata avanti quanto la convivenza con il mio male, con i miei lenzuoli sporchi, con le ore nelle sale d'attesa degli ospedali, con tutta questa nuova melodrammatica fanfara.

 

Anche gli altri, i cari visitors che mi portano fiori prima ancora che sia morta, notano subito il tuo cambiamento, l’umiltà del dolore coatto. 

 

Di fronte a te, tutti abbassano gli occhi.  Come prima, ma per un motivo diverso,. 

 

Gli effetti double-faced del maligno.

 

 

Il primo giorno ero sola Grete e, soprattutto, non preparata. Ammesso che lo si possa mai essere. Mi sono guardata intorno, le nostre cose quasi irreali, addosso l’intuizione secca dell’irrimediabile. Fuori di me, presi il vaso di vetro pieno di conchiglie della Florida, lo rovesciai e sparsi tutte le conchiglie sul pavimento. E poi presi il vaso delle conchiglie del Maine, in cui solo tu sentivi il canto delle balene, lo rovesciai, e sparsi con cura tutte le conchiglie del Maine. E poi le conchiglie della Virginia e le sparsi ancora. E tutto il pavimento era coperto delle conchiglie della East Coast, delle corse con te, di parvenze di ricordo, di camere di hotel, di critici e giornalisti sopportati a stento. Erano lì i nostri viaggi, l'oceano in mezzo, i primi sintomi. 

 

Con i piedi scalzi, cominciai a schiacciarle tutte, pestai come una matta per ore. Picchiai, Grete, come non avevo mai fatto prima, picchiai fino a non poterne più.

 

Le tue conchiglie, Grete.

 

Ma anche questa è una vecchia foto ormai. Il mio presente, invece, è uno squalo che divora tutto. Non si torna indietro. Non solo: anche tutto quello che è stato pare essersi dissolto. Rimangono solo piccole macchie rosse sul pavimento e te lo giuro, a farmi sanguinare di più, sono gli anni taglienti della cecità su me stessa, degli inganni che mi sono propinata ad arte. Grete, ho spremuto la mia vita per una vocazione non mia, dando tutta me stessa nell'ottica di una parzialità. E purtroppo me ne sono accorta. L'incoscienza e il compiacimento mi hanno abbandonato troppo presto. Ma questa è una realtà cui non posso più sottrarmi, costretta dalla pochezza del mio essere e illusa dalla grandezza della mia energia. 

 

Mi si chiede in modo brutale di pagare il conto. 

 

Non fraintendere Grete, sono con le spalle al muro, penso tutto e il contrario di tutto, l’unica certezza è che senza di te non sarei stata nemmeno parziale.

 

 

Gennaio 

 

Mettiamo la data a questo limo. 

 

Cerco di imitarti, arrampicandomi sugli specchi. Quando riesco a stare calma, però, metto a fuoco il vero problema e sei tu Grete, il danno più grosso sei tu, l’idea della tua solitudine, del monologo esistenziale che ti aspetta.

 

La tua cocciutaggine non mi lascia speranza, anticipo la tua voluttà per il vuoto, per il dolore incancrenito. E io non ci posso fare niente. Per questo Grete, sono già morta. Incapace di suscitare in te un nuovo ordine di pensiero, io sono già morta.

 

Vedi Grete il paradosso? Tu non esisti più come conflitto emotivo. Non avrei mai immaginato di essere io a smettere di sentire per prima. Giorno dopo giorno ti vedo sempre più coinvolta, affaccendata come una demente. Ormai ci muoviamo in direzioni contrarie. E non ho né la forza né la voglia di chiamarti. Io ho vinto da sola la mia battaglia, tu annaspi ancora nelle retrovie. 

 

E non pensare che ti voglia imbrogliare per ricongiungerti a una vena buona. Anche per questo ci vuole un’arguzia che non ho mai avuto. Nel momento in cui si diventa furbi possiamo dire addio all’innocenza sulla vita e, perduta questa, si diventa irrimediabilmente corrotti, differenti gli uni agli altri solo nella misura e non nello status

 

Ti puoi immaginare se proprio io, che della nostra aristocrazia di pensiero ho fatto l’unica ragione di vita, mi voglio confondere col volgo in punto di morte. 

 

Ti racconto di nascosto, non appena mi lasci sola in casa, con la speranza che tutto questo agitarsi non ti ferisca. Ho freddo, la pelle come calze di lana bagnata. Pensieri inconsistenti franano uno sull'altro. Mi rendo conto di non distinguere più la veglia dal sonno. Senza più il mio odore. Mi sento addosso una fretta strana, la voglia di alzarmi e andarmene. Alzarmi, aprire la porta e andarmene senza salutare. 

 

Attimo per attimo assisto al mio naufragio: le bussole impazzite, il gemito degli ormeggi, la ruggine d’ingranaggi trascurati, le rotte truccate dalle mie false credenze, le casse sfasciate dei libri. 

 

Tutto precipita così velocemente. Non riesco a fermare il pensiero su nulla. E questo è un bene. 

 

L’attimo che va dalla lama al collo del ghigliottinato. E sul patibolo non c’è spazio per due. Cerco di voltarmi ma mi costringono al giogo.

 

Morire come un cane, lontano dalla cuccia e dal padrone. Ora che capisco lo vorrei con tutte le mie forze. Morire di fronte a te è come accettare l’idea che tu mi osservi mentre seduta in bagno mi sforzo di defecare. Nessuno, nemmeno tu, sembra capire il pudore di mettersi in disparte, al cospetto d'immagini neutre, in una condizione di transizione graduale, con addosso tutta l’arrendevolezza possibile, conquistata palmo a palmo, davvero con sudore e sangue.

 

 

Morire come un cane. Lo vorrei. Nessuno sembra capire il pudore di mettersi in disparte, in una transizione graduale, con quella nuova arrendevolezza che è diventata la mia forza.

 

 

Riconoscere la deadline, percorrere passo dopo passo il vicolo cieco, a tentoni, appiccicata al muro, voltarsi indietro sicura, saggiare tranquillamente il buio, non esistono vincoli ulteriori, non si è più né buoni né cattivi, si procede, consapevolmente out. 

 

Sbarazzarsi di tutti i documenti, i connotati, le movenze di sempre.