Cervello in Tilt

La Città Provvisoria

29 Gennaio 2018

La Città Provvisoria

Albert Einstein nella città provvisoria

di Stefano Michelini

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Ci eravamo dati appuntamento alle 6.30 del mattino. Benedetta è arrivata alle 7. Con un sorriso ha cancellato 30 minuti di ritardo. E’ la sua arma segreta. Aveva con sé il binocolo e un bastone con un la punta ben affilata , per raccogliere i bigliettini di carta che ci interessavano. Io avevo un bastone molto simile al suo, ma un binocolo molto più professionale.

 

Non credevo molto a questo sistema di ricerca, pensavo.

 

Che bello, pensavo, guardando Benedetta, con il bastone raccogli carta punto verso il cielo come se quello che dovevamo raccogliere non fosse per terra. Di Benedetta non mi stupiva più niente.

 

Infatti, pur con la punta d’acciaio rivolta in alto trova il primo foglio utile, anche se visto e rivisto. Non un reperto di pregio. Il contenuto mi parve augurale e sorrisi anche io.

 

Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana, ma riguardo l'universo ho ancora dei dubbi.

 

Benedetta saltellava per avermi battuto nel ritrovare il primo reperto.

 

Trovo io il secondo, dopo aver tirato su pezzi di giornali pornografici, pagine intere di cronaca nera, pagine di libro stappate.

 

Lo leggiamo insieme in silenzio.

 

Non so con quali armi verrà combattuta la Terza Guerra Mondiale, ma la quarta verrà combattuta con clave e pietre

 

Ci diamo il cinque, un buon reperto per la nostra ricerca.

 

Due chilometri di raccolta inutile, ma divertente. Ci siamo messi a ballare il tip tap creando il ritmo con le punte dei bastoni. Binocoli al collo, ballavamo il tip tap. Benedetta era molto più agile. Io mi muovevo come un anziano in riabilitazione dopo un ictus.

 

Anziano o no, il terzo reperto utile lo trovo io. Lo leggo da solo e poi lo passo a lei che mi guarda, annuisce e mi fa il segno del pollice in su.

 

La perfezione della tecnologia e la confusione degli obiettivi sembrano caratterizzare la nostra epoca.

 

Ci sediamo per terra. Poso il bastone e prendo il binocolo. Scruto tutta la battigia dal punto meno a fuoco possibile fino al punto più a fuoco possibile. Niente altro che la meraviglia della battigia.

 

Benedetta mi aiuta ad alzarmi.

 

Aumenta il ritmo del passo fino a perderla di vista. Poi la vedo tornare con un  biglietto infilato nella punta del bastone e assume la postura di una fiorettista per farmi perdere il reperto.

 

Lo sfilo dalla punta con delicatezza per evitare di fare danni.

 

La logica ti porta da A a B la fantasia ti porta ovunque.

 

In una città provvisoria è il reperto più congruo. Anche se il materiale ritrovato era poco, c’era una tacita complicità di soddisfazione.

 

Benedetta prende il suo binocolo. Allarga le gambe per avere più presa sul terreno. Resta cinque minuti a guardare un punto fisso. Ferma come un mimo in Piazza Navona.

 

Poi ricomincia a camminare. Dopo qualche metro si china, raccoglie qualcosa, sorride e me lo passa. Era un giovane africano con un pene enorme che gli penzolava tra le gambe. Sorrido anch’io e lo restituisco al mittente. Lei lo piega in quattro e se lo mette in tasca.

 

Riprendiamo a camminare, cambiando continuamente direzione, sempre ritrovandoci per caso qualche minuto dopo a mani vuote.

 

Benedetta gira verso un vicolo a sinistra, io a destra.

 

Passa molto tempo questa volta. Io mi fermo a bere e a mangiare un pezzo di torta alle noci e cannella che mi ero portato.

 

Poi mi rialzo, più energico, e dieci metri più in là vedo Benedetta seduta che legge un quaderno.

 

Mi siedo accanto a lei e prendo il binocolo.

 

Battigia, mare, orizzonte. Cosa si può volere di più?

 

Benedetta mi sfila il cannocchiale dalle mani e dagli occhi, in modo gentile e mette in mezzo a noi il quaderno che stava leggendo. Comincio a leggere dal punto dove era arrivata lei.

 

Una vita tranquilla e modesta porta più gioia di una discontinua ricerca di successo.

 

Due pagine in bianco e poi si apre una parentesi quadra, richiusa subito elevata alla seconda. Poi una nuova quadra con una frase: [Una vita tranquilla e modesta porta più gioia di una discontinua ricerca di successo.]

 

Tre righe saltate e poi ancora una parentesi quadra aperta: [Sì una frase che scrissi ad un facchino in albergo, perché non avevo la mancia e pensai che quel mio autografo, un giorno sarebbe valso molto di più di una semplice mancia per quell’uomo].

 

Benedetta si alza, attratta da un colpo di tosse di un essere umano nascosto da qualche parte. Dopo un tempo breve, ma non definibile esattamente, torna con Einstein a braccetto.

 

Benedetta si comportava da giornalista ironica e a me non piaceva. Albert poteva permettersela l’ironia, non Benedetta. Non dico niente. Non voglio interrompere la visione.

 

In effetti, lei si dedicò ad una vita tranquilla da impiegato di ufficio brevetti a parte quella volta dell’atomica; vuole raccontarci come andò?

 

Non ho mai partecipato al progetto Manhattan e questo è un fatto, sono sempre stato un pacifista, ma vedevo oltre, quello che la maggior parte degli altri vedono: solo e sempre quello che sta a pochi centimetri dal proprio naso ed esattamente di fronte.

Io ho immaginato l’inimmaginabile. E’ così grave bella signorina?

In fondo hanno sempre saputo della mia buona fede.

 

Infatti lei è un’icona del buon maestro simpatico a tutti gli alunni del mondo. Se fosse stato un cattivo lo avrebbero dimenticato e invece si moltiplicano le sue icone come Marlyin… insomma lei è una rock star, inutile negarlo.

 

Non sapevo se Benedetta esagerava o no in questo suo incalzare, ma ero indispettito e questo, nel mio gergo psicologico, significa approvazione.

 

Penso che devo tutta la mia riabilitazione ai miei capelli e alla mia fisicità intesa come morfologia del mio corpo da puffo. Sono piccolo, quasi innocuo, gentile i miei occhi buoni e questi  capelli arruffati in testa che sono diventati un simbolo. 

 

Silenzio.

 

Forse anche quell’immagine della boccaccia… I Rolling Stones mi hanno copiato e migliorato. Chi sa perché una lingua di fuori è così attraente.

 

Benedetta e Albert se ne vanno a braccetto e mi lasciano lì.

 

Riprendo il binocolo: battigia, mare, orizzonte e cielo terso. Mi stupisco di stupirmi ancora di una bellezza così semplice.

 

Vedo tornare Benedetta sempre più nitida, mano mano che avanzava verso di me.

 

Mi passa un foglietto dai margini strappati:

Il nostro tempo è limitato, per cui non lo dobbiamo sprecare vivendo la vita di qualcun altro. Non facciamoci intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciamo che il rumore delle opinioni altrui offuschi la nostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, dobbiamo avere il coraggio di seguire il nostro cuore e la nostra intuizione. In qualche modo, essi sanno che cosa vogliamo realmente diventare. Tutto il resto è secondario.

 

Benedetta mi punge con il bastone. Mi giro verso lei e lei si atteggia di nuovo a fiorettista, sfidandomi. Questa volta accetto. Mi tolgo il binocolo. Mi metto la maschera e ora sono pronto per giocare.

 

Incrociamo i bastoni e duelliamo.

 

Si fa sera anche nella città provvisoria.